LAVELLO
Marcello Romano-GLI APPREZZI E LE PLATEE DELL’ARCHIVIO CARACCIOLO DI TORELLA COME FONTE PER LA RICOSTRUZIONE DEL PAESAGGIO E DELLA “FORMA URBIS” MEDIEVALE DEGLI INSEDIAMENTI DEL VULTURE- REGIONE BASILICATA
Città di Laviello-Provincia: Potenza
Pag.275-distante da Spenazzola miglia 18 si trova la detta Città di Laviello posta nella fine della Provincia di Basilicata, et vicino alla Provincia de Bari-Delli cittadini di detta Città ne sono molti, che vivono civilmente, ancorche non sia separatione di nobiltà, o seggio, et sono li Ricciardi, Quattrocchi, Elia, dove è uno Dottore quale stà in Napoli; uno Medico Fisico Francesco Fierro di Melfi, con provisione de docati ducento l’anno, uno Chirurgo della Città, uno Notaro uno Giudice a contratto, una spetiaria di medicine,Pag.277- Intrade tiene l’Università in quest’anno 1667 et 1668 La gabella della farina affittata al Magnifico Antonio Quattrocchi - Per Ducati-2037. 2.10 .Pag.286-Antonio di Manna Cesse al sopradetto Eccellentissimo per essere cascata la casa sopra detta Grotte carlini diece. Di più per lo censo de due potechelle concesse dal Capitolo, per censo perpetuo nel Largo del Palazzo contigue alle sue case nove la poteca di Pietro Calabrese mediante instrumento fatto per mano di Notare Attilio de Aloijsij venduta da Carlo Quattrocchi per docati cinque -5 Pag.276-La detta Città si governa, per un Sindico, e sette eletti, quali s’eliggono nel publico Parlamento nominati, per lo Sindico, et altri Vecchi, e nel medesimo tempo si crea il Casciero, il quale hà peso d’esigere, e pagare l’ordini se li fanno purche si nell’ordini non vi è firma del Sindico ancorche fussero tutti l’eletti il Casciero non è obbligato pagare, il quale parlamento si fà nella casa della Corte, quali governano, et reggono conforme lo stato antico, et tengono le sottoscritte entrate.
LE FAMIGLIE DI MANDURIA dal XV secolo al 1930 CAPOSTIPITI - PROVENIENZA - UOMINI ILLUSTRI
Regione Puglia C.r.s.e.c. Ta/55 Manduria Benedetto Fontana. Saggio introduttivo di Gianni Jacovelli. Prefazione e note bibliografiche di Elio Dimitri
Quattrocchi da Lavello (PZ) con Scipione Quattrocchi (I metà XVII sec.), coniugato con Virginia De Vincentiis, di professione giureconsulto (UJD). Questa famiglia ebbe un prete e una monaca Benedettina. (LM,col.1783).
DIZIONARIO TOPOGRAFICO DEI
COMUNI COMPRESI ENTRO I CONFINI NATURALI D'ITALIA
di Attilio Zuccagni-Orlandini - 1861
LAVELLO
(Napol.) Prov. di Basilicata ; circond. di Melfi ; mand. di Venosa. Di remota
origine è la fondazione di Lavello. Nell'839 vi fu ucciso Sicardo duca
di Benevento, e più tardi vi morì di veleno l'Imperatore Corrado.
Nel secolo XI ebbe sede vescovile, poi trasferita altrove. Il terremoto del
1851 recò grave danno agli edifizj, e in special modo al maggior tempio,
poi restaurato. Qui nacque il prode Capitano Tartaglia che tanto si distinse
sotto il Duca di Milano Francesco Sforza. Popolazione 1649.
AVIGLIANO
Provincia di Potenza: Avigliano Monte Quattrocchi
GALLERIA QUATTROCCHI DA POTENZA A MELFI
Basilicata e Calabria - Pagina 128 di Touring club italiano - 1965
... la valle è assai ampia, ricoperta
di campi poco alberati e sparsi di case.
... attraversate le case Quattrocchi, si scende
nel piano dell'Isca, ...Galleria Quattrocchi
LA COSTITUZIONE DI MELFI
Aiutato dall'arcivescovo GIACOBBE di Capua e da altri consiglieri, e invano dissuaso dalla Curia romana, Federico diede un nuovo ordinamento al regno siciliano con le "Costitutiones Regni Siciliane" che furono poi pubblicate a Melfi nel 1237 ed hanno un'importanza straordinaria nella storia del diritto, perché costituiscono il primo serio tentativo, di stabilire in mezzo alla società feudale, uno stato moderno. ( Federico precorre i tempi di almeno 500 anni). E' messa da parte da Federico la concezione feudale germanica; ritorna alla concezione romana dell'unità del potere sovrano, e dell'eguaglianza giuridica dei cittadini, e identifica lo stato con la persona del re, il quale, secondo lui, ha un carattere divino, è l'interprete della volontà di Dio,e il ministro della giustizia. Solo il re ha il diritto di far le leggi e di abrogarle, di esercitare la giustizia: di tenere in armi un esercito per difendere lo stato e mantenere l'ordine pubblico; di imporre tasse, e riscuoterle. Nelle mani del sovrano è riposto ogni potere, che in parte e temporaneamente può essere trasmesso ad un funzionario delegato dal re e a lui completamente subordinato. Tutti i cittadini sono sottoposti alle medesime leggi e agli stessi oneri, anche gli ecclesiastici, i quali non possono sottrarsi alle imposte comuni e ai tribunali ordinari sia per le cause civili che per le criminali. Nessuno può farsi giustizia da sé e nessuno può portare armi all'infuori delle persone addette al servizio del sovrano; Sono proibite le guerre private ed è vietato il duello come prova nei giudizi. L'omicidio è punito con la decapitazione per i nobili e con la forca per gli altri. La giustizia e le finanze dello stato furono amministrate da due organi, uno giudiziario - l'altro finanziario. Il primo, detto "magna curia", formato da quattro giudici, è presieduto dal gran giustiziere; questi portava il titolo onorifico di "specchio della giustizia" e giudicava le questioni feudali più importanti, i delitti di lesa maestà, i conflitti di competenza tra uffici e magistrati; per le altre cause egli costituisce l'ultima istanza per gli appellanti. Il secondo organo era detto "magna curia rationum". Da questi due collegi dipendevano gerarchicamente nelle province i "giustizieri" per gli affari criminali e di polizia, e i "camerari" per gli affari finanziari; sotto di loro erano i "baili" che avevano funzioni giudiziarie e finanziarie. "Le leggi compilate da Federico - scrive il Prutz - rivolgono particolare attenzione alle finanze. Pare anzi che tutte le istituzioni, non abbiano se non lo scopo di procurare a questo campo la maggiore produttività possibile, ed anche sotto questo aspetto i risultati ottenuti nello stato di Federico II furono superiori a quelli raggiunti da qualunque atto del medio evo. I proventi del re scaturivano in maggior parte dal demanio, sottoposto di provincia in provincia ad un procuratore assistito dai necessari funzionari subalterni. I beni, (terreni, laghi, corsi d'acqua, miniere, saline, ecc) che costituivano il demanio erano ceduti in parte in affitto dietro il pagamento di una somma di denaro o di una parte dei prodotti ricavati, oppure erano direttamente coltivati o sfruttati per conto della casa reale. (Simili alle odierne "concessioni"). Ai redditi del demanio si aggiungevano quelli del monopolio, dal momento che il commercio del sale, del ferro, del rame e della seta greggia era tutto nelle mani dello stato. Per tutelare il monopolio occorreva un complicato e costoso sistema doganale e grandi magazzini di Stato: anche il commercio dei grani finì con l'essere talmente limitato da dover passare questo ad un monopolio dello Stato. (cioè il moderno "ammasso", inventato dai funzionari cinesi, e usato poi dagli arabi). Corrispondevano alla maggior parte dei prodotti più importanti (oggi diremmo "strategici") dazi altissimi sull'esportazione, dazi che raggiungevano il 33 per cento sul bestiame e sui grani e che erano pagati non in denaro, ma in oggetti naturali. Per agevolare il controllo e risparmiare personale, questi articoli non potevano essere esportati se non da porte determinate. (fino a pochi anni fa in Italia esistevano appunto nell'entrate delle città e paesi, le "porte daziarie", e all'interno o all'esterno ogni carico di merci doveva essere munito di una bolletta di entrata o uscita, pena sanzioni in danaro o requisizione della merce se sprovvista). Commercio e comunicazioni erano altrettanto aggravati nell'interno del paese; un'imposta doveva essere pagata in base ad una istituzione sorta all'epoca normanna, per la maggior parte degli articoli di beni di consumo, in specie per la frutta, verdura, vini, salumi, formaggi, pesci, animali di cortile, canapa ecc. A ciò s'aggiungeva un'imposta fondiaria detta colletta, riscossa in origine solo nei casi di bisogno straordinario ma che poteva poi essere trasformata gradatamente in una contribuzione fissa e regolare. "Tenendo fermo inoltre che anche i beni sequestrati erano devoluti al fisco e che, in seguito, quando si accendeva la lotta con la curia e cominciava la diserzione dei Grandi del paese, questi sequestri (oggi le chiameremmo "retate", "interventi repressivi programmati") furono esercitati su vasta scala, si dovrà convenire che i redditi del re di Sicilia erano i più svariati, entravano con maggiore regolarità ed erano per questo motivo senz'alcun dubbio superiori a quelli di qualsiasi principe di quell'epoca, giustificando così quella reputazione d'immensa ricchezza di cui godevano i re normanni. Non a torto i contemporanei designavano Federico II come l'imperatore più ricco mai vissuto dopo Carlomagno. Eppure questa grande opulenza sua e del suo regno, e così tutti i suoi tesori, furono divorati dalla grande lotta che Federico dovette in seguito sostenere, dalla eccessiva tensione delle forze dei suoi sudditi che fece precipitare nella più squallida miseria quel regno così ricco e fiorente. " La tendenza fiscale della legislazione di Federico II, emerge particolarmente dal modo in cui erano amministrati e distribuiti i proventi ricavati da così tanti settori e luoghi. Il regno intero era diviso in cinque distretti provvisti ognuno di una cassa centrale, nella quale erano versati tutti gli introiti, e questa "corte dei conti" faceva poi fronte a tutti i pagamenti versando nell'erario dello Stato soltanto le eventuali eccedenze. Non sappiamo se, temporaneamente almeno, l'erario abbia avuto, rispetto alle uscite, entrate maggiori, perché ai tempi di Federico,all'alta cifra delle contribuzioni corrisposero le grandi spese dello Stato. Gli oneri del governo, oltre quell'insieme di spese certamente elevate della corte sontuosa e di quelle determinate dalla grandissima liberalità dell'imperatore, consistevano anzitutto nel mantenimento dei funzionari, tra i quali soltanto i giudici locali vivevano di una parte determinata delle spese giudiziarie. "Non deve sorprendere la grande diffidenza che si manifestò contro tutto questo mondo di funzionari in questo complesso ingranaggio della costituzione e in tutto quest'organismo amministrativo. E nonostante un buon sistema di sorveglianza, non cessarono mai i lamenti sul carattere disonesto dei funzionari; le frequenti revisioni regolamentari, il controllo minuzioso esercitato da Corti speciali, fecero rapidamente sì scoprire i corrotti, ma non contribuirono a creare un ceto d'impiegati onesti. "Vi era poi la flotta che causava grande spreco di denaro; lo sviluppo d'una forte marina stava particolarmente a cuore all'imperatore. Le principali stazioni marittime erano Messina, Napoli e Brindisi; qui si trovavano i maggiori cantieri navali e relativi magazzini provvisti di quanto occorreva per equipaggiare una considerevole armata. Dieci navi dovevano essere sempre pronte a spiegare le vele. Quali somme divorasse la marina, si può arguire dallo stipendio di 37.500 lire, paga enorme per quell'epoca, riscossa dall'ammiraglio che ne era a capo. "Anche l'esercito terrestre costava forti somme: poiché, oltre i contingenti militari forniti obbligatoriamente dai vassalli, unica istituzione feudale che Federico II non distrusse, si provvedeva ad un corpo di truppe permanenti composte di mercenari, e occupavano una posizione speciale gli Arabi stabiliti a Lucera, che formavano una colonia militare favorita. Militarmente poi il regno era diviso in due capitanati, del continente e della Sicilia, ognuno dei quali, a sua volta, era frazionato in un numero d'ispettorati delle fortezze. "Che cosa dissero di questo governo o che cosa ne pensarono coloro che ne sopportarono il peso? Se, durante il breve, rigoroso governo di Enrico VI, tutto impegnato ad una guerra di conquista, si lamentava del dominio dello straniero, quello del Normanno di nascita così diceva e si sentiva Federico II portava a un grado ben superiore i contrassegni della tirannia straniera. Il "normanno" per molti era e restava un germanico. E a calcare la mano sul "barbaro" ci pensarono pure i Papi. Tuttavia i suoi sudditi ubbidirono al suo ferreo governo, ma anelarono sempre ad essere sollevati. Il modo poi in cui Federico II, scoppiata la lotta con il Papato, dovette usare la sua potenza, rese il suo governo completamente (esclusi i ceti da lui privilegiati) insopportabile. L'imperatore godeva appena un po' di simpatia e di affetto in quelle città fortunate che per tanti motivi ottenevano un grande sviluppo, quindi benessere un po' a tutti, ceti alti e bassi. Negli altri, l'aristocrazia del paese, capitanata dai grandi baroni, più che ad averci lasciati dei giudizi sul governo federiciano, ci hanno lasciato i tanti tentativi di rivolta e parecchie cospirazioni. Neanche con la Pace firmata a San Germano (del 23 luglio del 1230) tra il Pontefice e Federico II, anche le città della Lega Lombarda erano state incluse, si era riusciti a scongiurare la Guerra Fratricida, che tanto Danno causò.
AUDIO
LA COSTITUZIONE DI MELFI DI FEDERICO II 1237
TRICARICO
Dizionario storico dei cognomi in Lucania: repertorio onomastico e filologico - di Gerhard Rohlfs - 1985
Pagina 159 - Quattrocchi Dominico, alias Dominicus Quatuor Oculorum nel 1487 a Tricarico (Comp. 67), Quattrocchi cal. ea Taranto: antique.
Il Liber iurium della città di Tricarico di Carmela Biscaglia - 2003 -
II luogo ove è fondata la Ecclesia,
e ancora lo monastero era montagna ... ni fu sodisfatto dall'università
il reverendo don Pietro Quattrocchi Canonico
TRICARICO
Si riconosce da lontano per la torre Normanna Tricarico, che
solo in epoca longobarda iniziò a svilupparsi sul sito attuale. In epoca
anteriore, infatti, esisteva un centro lucano molto più a est, presso
il valico Tre Cancelli dove sono infatti stati rinvenuti resti di mura risalenti
al V-IV secolo a.C.; solo con la distruzione ditale insediamento cominciò
a delinearsi l'attuale Tricarico, i cui rioni Rabatana e Saracena furono impiantati
a seguito dell'arrivo di saraceni a inizi IX secolo. Ripassata nelle mani di
Bisanzio, conobbe sotto i normanni una seconda espansione urbana verso la zona
oggi occupata dal convento di S. Chiara. Lo spazio intramuraneo tra i rioni
e il castello venne nel tempo colmato di residenze e di chiese; fuori della
cerchia difensiva, della quale si individuano molti tratti e restano alcune
porte (Monte, Fontana, Saracena e Rabatana con le relative torri), comparvero
solo nel tardo '400 edifici religiosi, dove si formarono intellettuali che diedero
lustro all'abitato. Dopo il terremoto del 1654 si operò più che
altro nella ristrutturazione e ricostruizione di edifici pubblici e privati,
contribuendo a tutelare l'impianto storico; opera di salvaguardia continuata
dall'attuale piano regolatore.Molto simpatica è la festa che si tiene
nell'ambito del Carnevale.
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