BARI

Archivio del Capitolo Metropolitano di Bari

Antonio Chipillino, canonico, procuratore del capitolo, dei canonici e dei chierici di seconda forma della chiesa madre di Bari, con il consenso di Giovanni, vescovo di Sarno e vicario generale del cardinale Landolfo, amminustratore della stessa, concede in locazione per ventinove anni a Giuliano de Quatuoroculis, di Bari una casa diroccata e bisognevole di riparazioni q.d. cellarium, ,di proprietà comune dei predetti, provvista di cisterna e stalla, sita nella città, in vicinio cordoaneriorum, al canone annuo di diciasette tarì, da pagarsi per metà al capitolo nel mese di agosto, alla vigilia della festa di S. Lorenzo, e per la restante metà, trimestralmente ai canonici e ai chierici. Anno Domini 31/08/1383 (Sec. XIV)

 

TARANTO

Il libro rosso della Università di Trani - Taranto -
di Giovanni Beltrani, Gerardo Cioffari, Mario Schiralli - 2000

Ioannes Quatuor OculiStephanus ... de Quatuor Oculi — Petracca, frater eius — Noarius Thomasius de Rogerio
de Quattuor Oculis. nach 1231 – 1266 VI 30: iudex Tarent. 1231/1232: notarius publicus Tarent. Russus. 1243 XII 17: taxator collector imperialis collecte ...
de Quattuor Oculis s. Leo. R. – de Sancto Severino 160, 306 f. – de Trentenaria 122 ...... de Quattuor Oculis, Nicolaus Patricius, Nicolaus de iudice ...
Iudex Leo de Quattuor Oculis:dixit se scire eccl.Tarentinam habuisse a tempore Andree logothete quolibet anno de tinctoria Iudaice Tarenti decem uncias auri de imperiali mandato, et si fuerit plus vendita de decem uncias auri, imperialis curia percipiebat, ut audivit.
Iudex Leo de Quattuor Oculis: com ipse tempore d. imp. Frederici esset not publicus in civitate Tarenti et iudex Rao et iudex Stephanus tunc temporis iudices eiusdem terre recepissent per litteras in mandatis.

Studien zur Beamtenschaft Kaiser Friedrichs II. im Königreich Sizilien (1220–1250)Christian Friedl

Secolo XIII - Leo de Quattuor Oculis giudice in Taranto su nomina dell'imperatore Federico II

 

La Politica Fiscale nel Principato di Taranto alla metà del XV secolo
Università del Salento ... Testo curato da Simona Pizzuto

I distretti fiscali e la riscossione dell’imposta diretta nel principato di Taranto. La Politica Fiscale, nel Principato di Taranto, alla metà del XV secolo. Nel 1420, Giovanni Antonio del Balzo Orsini, era stato investito dalla regina Giovanna II del principato di Taranto, antica e importante formazione feudale nel regno di Napoli risalente all’età normanna. Al principato l’Orsini aveva unito, nel 1446, la contea di Soleto e quella di Lecce, concentrando sotto il suo controllo una compagine territoriale di notevoli dimensioni, costituita da un blocco quasi compatto in Terra d’Otranto e in Terra di Bari, con alcune propaggini in Capitanata, Basilicata, Terra di Lavoro e Principato Ultra. A Lecce, nel 1459 la curia principalis riscuoteva i diritti di bagliva, gli iura exiture, victualium et animalium, le gabelle affide, et diffide, degalatrorum, I proventi derivanti dalla locazione di immobili appartenenti alla curia, incamerando circa 354 once cui si aggiungevano circa 43 once delle condanne comminate dal capitano, dal camerario e dal catapano della città. A Bari, nel 1462 i diritti di dogana fruttarono all’erario locale circa 290 once. Le imposte sul commercio non interessavano solo le località costiere, giacché l’Orsini, almeno dal 1448, moltiplicò le sedi di fondaco in Terra d’Otranto. Questi magazzini, de novo impositi per terram et intra terram, funzionavano come distaccamenti dei fondàci centrali, collocati nelle principali località che disponevano di un porto, ed erano gestiti da substituti fundicarii che controllavano il movimento di tutte le merci destinate alla commercializzazione. Fondaci furono creati ad Alessano, Ugento, San Pietro Galatina, Scorràno,Specchia, Racale, Gagliano, Alliste, Felline, che dipendevano dal fondaco centrale di Gallìpoli; a Oria e Grottaglie, dipendenti da quello di Taranto, a Mesagne, Francavilla e Ostuni, succursali del fondaco di Brindisi e poi ancora a Minervino,Cursi, Sanarica, Maglie, Bagnolo del Salento, Serrano, Muro leccese, Morigino, Carpignano salentino, Vanze, Poggiardo e Presicce. La loro istituzione doveva rispondere certamente alla necessità di aumentare la pressione fiscale, ma era anche indicativa di una certa vivacità dei traffici che interessava anche le località dell’entroterra. Confrontando i proventi derivanti dall’imposizione indiretta con quelli ricavati dall’imposta diretta, possiamo notare come i primi fossero superiori. Taranto, versava per le funzioni fiscali 300 once, mentre i profitti legati agli oneri indiretti ammontavano a circa 390 once; Otranto, invece versava per l’imposta diretta poco più di 90 once, a fronte di 295 once riscosse tramite il prelievo indiretto, Lecce, versava 324 once per le collette e circa 400 per le imposte indirette. Chiaramente la situazione fiscale di questi centri non è estendibile a tutte le altre realtà del principato: alcune località presentavano certamente una maggiore vivacità economica, grazie al loro inserimento all’interno dei traffici commerciali; in altre la rendita era, invece, legata essenzialmente al prelievo signorile in natura e ai censi sulle produzioni agricole. Ad esempio, il caso di Soleto, capoluogo dell’omonima contea, nel quale, nel 1459, gli introiti percepiti dall’Orsini provenivano dalla tassazione decimale sui prodotti agricoli: 203 tòmoli di grano, 164 di orzo,18 di avena, 43 di fave, 234 ligature di lino; la gestione diretta di alcune vigne, di proprietà della curia, rendeva 73 barili di vino, venduti a regime di monopolio, nella taberna del principe. A queste entrate si aggiungevano 17 once della bagliva, e 3 once per i diritti di giustizia. Allo stesso modo nella terra di Ceglie de Gualdo, piccolo feudo del principato, negli stessi anni dal prelievo decimale si ricavavano 48 tòmoli di frumento, e 13 di orzo. Circa 70 botti di vino, provenienti dai vigneti principeschi erano destinati alla taberna locale. Lo ius platee, che doveva essere versato dai mercanti forestieri nella misura di 15 grani per ogni oncia di merce venduta, rese poco più di 2 once, testimoniando, dunque, la situazione di un centro che rimaneva ai margini dei flussi del commercio. Dal quadro delineato emerge l’immagine di una fiscalità signorile pervasiva e stringente. Da una parte, il privilegio regio, di incamerare le imposte dirette aveva permesso all’Orsini di rimpinguare le casse del principato per più di cinque lustri : si trattava di introiti importanti che il principe aveva cercato, d'accrescere ulteriormente, aggiungendo alle voci di imposta previste dal sistema fiscale del regno, ulteriori contributi, come la tassa aggiuntiva pro errori foculariorum, il versamento per il rinnovo del quaderno dell’apprezzo e l’acquisto forzoso di quantitativi di sale superiori al numero di fuochi censiti. Dall’altra il prelievo indiretto sembrava controllare ogni aspetto della vita civile ed economica delle comunità. Il ventaglio delle gabelle esigibili nei diversi centri del principato era estremamente variabile, alcune avevano carattere generale, essendo esatte in tutto il regno; altre, invece, avevano un carattere prettamente locale e tassavano le risorse proprie di un luogo. Alcuni di questi diritti spettavano al principe in base ai privilegi di concessione o ai patti di vendita siglati al momento dell’acquisizione delle singole località, in altri casi l’Orsini si era appropriato di competenze spettanti, invece, al re. In seguito alla morte del principe Orsini,(novembre 1463),avvenuta in circostanze poco chiare, nelle quali non si può escludere un coinvolgimento diretto di Ferrante, il sovrano aragonese si affrettò a raggiungere la Puglia, percorrendo i territori dello stato orsiniano e accogliendo l’omaggio delle universitates. L’occasione si presentava favorevole per le comunità, che ritornando sotto il dominio diretto del re, ne approfittarono per presentare, attraverso i propri delegati, i capitoli di dedizione con i quali sollecitarono concessioni in materia fiscale e giurisdizionale e chiesero la conferma di vecchi privilegi. Ferrante, da subito, mise in moto una macchina amministrativa per prendere fattivamente «possessione de le fortezze et robe» di quello stato, e per riappropriarsi di quell’insieme di diritti, giurisdizioni, prerogative fiscali e beni patrimoniali di cui aveva goduto l’Orsini sino a quel momento. Tre maestri razionali napoletani trasferirono i propri uffici nei territori del principato, prima a Taranto, e poi a Lecce, tra il 23 giugno 1464 e il 20 febbraio 1465, con il compito di vagliare e controllare i quaderni e i conti degli ufficiali e degli amministratori principeschi. I primi a essere convocati furono il tesoriere di Lecce, Gabriele Sensarisio, e l’erario generale, il notaio Nucio Marinacio, invitati a presentarsi personalmente, presso la sede dell’ufficio a Taranto, portando con sé cautele, libri e scritture per rendere ragione, della loro amministrazione negli anni della X, XI e XII indizione (1461-1463). Lo stesso giorno, il 23 giugno del 1464, furono convocati i maestri razionali di Terra d’Otranto e Terra di Bari, con l’ingiunzione di produrre i libri di conti non ancora esaminati, quelli già vagliati dopo la morte del principe e insieme cedolari e altre scritture necessarie. Nei giorni seguenti fu invitato a presentarsi anche il cancelliere Stefano de Caiazza, con i suoi quaderni, perché si potesse procedere al controllo della sua attività et signanter de administracione et assignacione stipendiorum gentium armigerarum. Un mese dopo fu convocato l’erario generale di Terra di Bari, Ottaviano di Monopoli ad computandum, et ratione reddendum, de dicto erariatu. ; ancora nell’agosto dello stesso anno, fu il turno di Polidoro de Quatuoroculis, Erario Generale, della Baronìa di Trevìco e Flumeri. Negli otto mesi di permanenza, furono invitati a presentarsi con i propri quaderni, i capitani, gli erari, i doganieri e i baiuli delle più importanti località della provincia. L’interesse primario dei razionali regi, era rivolto a verificare le scritture contabili e l’attività amministrativa svolta dai funzionari principeschi responsabili della riscossione delle imposte indirette, dell’imposta diretta e della gestione di tali risorse per il mantenimento della gente d’arme. I razionali regi non lasciarono, dunque, nulla in sospeso: controllarono i conti degli erari locali e dei doganieri, degli erari generali e dei razionali principeschi, operando gli opportuni raffronti con i dati registrati nelle loro scritture,e sollecitarono i pagamenti pendenti per l’anno in corso almeno sino alla data di approvazione dei capitoli di dedizione, con i quali le università erano riuscite a ottenere numerose agevolazioni fiscali dal sovrano. Le lamentele nei confronti del fiscalismo oppressivo del principe e dei danni subiti durante la guerra degli ultimi anni furono ricorrenti nelle richieste presentate a Ferrante da tutte le comunità, dalle città più grandi sino ai piccoli centri. La città di Bari, ricordava al sovrano li molti danni passi per la università, nelli pròximi passati tempi ala guerra. ; Lecce, si lamentava per li excessivi et intollerabili pagamenti facti per l’università, la gran fama et penuria de tucte cose et amplissima multitudine de pòpulo, tucti citatini et habitanti, sono reducti in grandissima et extrema pauperta. ; la città di Brindisi faceva presente, la extrema et incredibile povertà et la sua quasi finale ruyna et inhabitazione ; i cittadini tarantini, si lamentavano per le guerre paxate, in le quale so’ stati oppressi et damnificati de’ pagamenti, de loro robbe et beni, tanto per lo signore Ioanne Antonio, quanto per quilli che lui havìa per inimicizia. Ancora la comunità di Mesagne chiedeva recompensacione de tanti mali quali essa università patecte , considerati li excessivi pagamenti ha indebitamente extirpati, la serenità del principe. ; così come Castellaneta che informava Ferrante, come per li eccessivi oppressiune et pagamenti intollerabili del passato, tucti habitanti sono reducti ad extrema pauperta et gran parte reducti ad habitare quasi ne li boschi et exhabitarla. Oria, si dichiarava oppressa et affannata da molti pagamenti, come Gallìpoli che era stata gravata da gran pagamenti imposti per il principe di Taranto, per la guerra fatta e la gran povertà e penuria, Monopoli denunciava gli affanni patiti e le extorsione indebite per lo principe, Sternatia, infine, segnalava che li hòmini , càmpano de die in diem per li gran pagamenti hanno facto a lo dicto principe. L’insistenza da parte delle comunità sullo stato di indigenza e povertà che avrebbe interessato i propri abitanti, mirava a sostenere, la richiesta di agevolazioni fiscali; tuttavia quella fama di principe avido ed esoso, lamentata dai sudditi, probabilmente,non doveva discostarsi molto dalla realtà dei fatti, visto che,come è stato delineato, durante gli anni del suo dominio le comunità furono effettivamente sottoposte a una crescente pressione fiscale. Con il suo stato, le sue condotte militari e i suoi denari, il principe rappresentò, dunque, un temibile avversario per il re di Napoli, tanto da mettere in discussione la stessa autorità di Ferrante. «Il signor re , scriveva al suo duca l’ambasciatore milanese Antonio da Trezzo all’indomani della morte dell’Orsini , ad questo dì ha avuto tuto lo stato, gente d’arme, dinari et roba furono del principe, che è la mità de questo reame, che non è piccola novella ma talle che , come ogniuno pò comprendere , mo’ se pò dire, esso re Ferdinando, essere vero, et fermo re, de questo reame».

Politica Fiscale, nel Principato di Taranto

CORLETO GIA'CORNETO (ASCOLI SATRIANO)

QUATTROCCHI POLIDORO Ascolano. In un atto del 9 maggio 1489 che si conserva nell'Archivio del Monastero di Montevergine come regesto n. 4440, risulta che in tale data fece istanza al re di napoli di concedergli una "mezzana2 a Corneto per far pascolare i suoi sessanta buoi avendo dovuto lasciare an'altra "mezzana", dote di sua moglie, dove ora pascolano "le jumente" del Re. Il Re concede al Quattrocchi nel territorio di Corneto, in agro di Ascoli. REGESTO N.4440 - DELL'ANNO 1489 9 maggio 1489 Foggia. Avendo il Magnifico Polidoro Quattrocchi, di Ascoli, dovuto quasi lasciare una "mezzana", dotale di sua moglie "per uso et pasculo de li boi del suo campo", mezzana che ora si pascola "pro maiori parte per le jumente de la...Maestà; perciò egli supplica la Maestà del re che "li voglia concedere in detto terrirorio vostroper ristoro di quella", nel territorio di Corneto, "una mezzana comoda per uso et pasculo de boi sexanta...", affiché "esso supplicante possa fare industrie de campo per lo suo vivere secondo fanno li altri maxari de puglia". Accogliendosi tale supplica, si dà ordine dalla regia Camera a Nicola Caracciolo ("Caracziolo"), "regio dohanerio pecudum apuliae", in data 21 ottobre 1488, dopo accurate informazioni, concede al Quattrocchi una mezzana in Corneto (XV,75). N.B. Il documento in una copia autentica, si dice estratto in Napoli il 25 giugno 1547. Ind., dalla regia camera della Sommaria. CARACCIOLO NICOLA In un atto del 9 maggio 1489, conservato nell'Archivio del Monastero di Montevergine come regesto n.4440, risulta essere il funzionario della dogana delle pecore della Puglia per conto del re di Napoli ("regio dohanerio pecudum apuliae"), al quale la Regia Camera, in data 21 ottobre 1488, dà ordine di provvedere alla supplica dell'ascolano Quattrocchi Polidoro che aveva, precedentemente, chiesto al re di permettergli di far pascolare i suoi sessanta buoi in una "mezzana" di Corneto al posto della "mezzana", dotale di sua moglie, dove ora pascolano "le jumente de la ...Maestà". CORLETO, già CORNETO Antico villaggio fortificato medievale del territorio di Ascoli. Il territorio di Corneto è menzionato nel 1063; il casale è conosciuto a partire dal 1096. Sin da prima del 1105 i suoi abitanti godono di una consuetudine che regolamenta in particolare il versamento del diritto di pascolo e senza dubbio destinata ad attrarre verso questa fondazione, forse recente, molta popolazione. Tre quarti di secoli più tardi, sotto il regno del Re Guglielmo II, il Vescovo di Ascoli ha il privilegio di tenere bottega aperta a Corneto: segno certo dell’importanza economica acquisita dall’abitato che, nel XIII secolo, è contornato di mura e fossati e fiancheggiato da un sobborgo. Tuttavia in questo periodo non è ancora che un casale, cioè un villaggio di un certo accentrato, ma in linea di massima poco protetto. Nel 1190 è saccheggiata e distrutta da Enrico Testa, inviato dall’Imperatore Enrico VI, e da Ruggero d’Andria perché parteggia per Tancredi, Conte di Lecce, insieme con l’Abate dell’Abazia benedettina della SS.Trinità di Venosa e con l’Abate cassinese Loffredo. Nel 1200 il suburbio di Corneto rinasce intorno alla Chiesa di S. Giuliano, ad opera dell’ Imperatore Federico II. Ospitò dal 1224 al 1232, quando morì il 27 giugno, il frate laico francescano Benvenuto da Gubbio. In questo luogo si occupò principalmente dell’assistenza ai lebbrosi. La residenza di Benvenuto con altri frati, costituì il primo insediamento francescano nel territorio di Ascoli che si concretizzò negli anni successivi nella costruzione di un convento che fu attivo in Corneto fino al 1450. Quando fra Benvenuto morì le sue spoglie furono esposte per più giorni nella Chiesa di S. Pietro, dove si verificarono molti miracoli. Quattro anni dopo, nel 1236, il popolo di Corneto, tramite il diacono Balsamo e il giudice Giacomo, inviarono la supplica al Papa Gregorio IX affinché fra Benvenuto venisse canonizzato. Il Papa con la bolla “Mirabilis Deus in sanctis suis”, investì i Vescovi Richerio di Melfi, Risandro di Molfetta e Buono di Venosa di effettuare un’inchiesta sui miracoli di Benvenuto. L’inchiesta fu eseguita, ma il processo di canonizzazione non andò a buon fine per i torbidi politici dell’epoca, imperante Federico II avversario politico del Papa. Comunque il Papa autorizzò il culto di Benvenuto nelle tre diocesi. Nel 1255 Manfredi passa da Corneto, dopo essesi fermato a Palazzo d’Ascoli, perché non poté entrare in Ascoli in quanto l’anno prima era insorta contro l’Imperatore Corrado IV e nel 1255 era passata sotto il potere del legato papale Uberto degli Ubaldini. Nel 1268 Corneto era un villaggio fortificato fedele a Corradino. In quell’anno chiama in aiuto i capitani angioini, che si trovano in Ascoli, i baroni ribelli i quali si recano a Corneto per organizzarvi l’ultima resistenza. I contadini cornetani filoangioini, tuttavia, tradiscono i filosvevi che vengono giustiziati. Gli abitanti di Corneto vengono passati a fil di spada, le mura vengono abbattute, il villaggio saccheggiato, incendiato e raso al suolo. Il 10 febbraio 1280 il Re Carlo d’Angiò conferma al capitolo Cattedrale di Ascoli il diritto di riscuotere le decime nel territorio di Ascoli, candela e Corneto. Nel 1300, dal punto di vista ecclesiastico, assurge a ruolo di Arcipretura ed era meglio dotata delle stesso Capitolo Cattedrale di Ascoli. Papa Innocenzo XII (1691-1700), intorno al 1697 estese il culto del Beato Benvenuto da Gubbio. Corneto fu feudo dei Benedettini della Trinità di Venosa. Per aver parteggiato per la casa Sveva fu rasa al suolo da Carlo d’Angiò nel 1268. Da allora Corneto non è stata più ricostruita. Un chilometro più a sud dal sito della vecchia città oggi esiste una grande masseria, centro di numerose aziende agricole. E’ stata masseria di campo e posta delle pecore nell’ambito della Dogana della Mena delle Pecore, fino alla soppressione napoleonica del 1806 e 1809. Nel centro della masseria esiste ed è funzionante la chiesa rurale dedicata a Maria SS., S.Giovanni Battista e Benvenuto da Gubbio che è sede della Parrocchia rurale. La Chiesa fu fatta costruire nel 1788 dal Priore del Baiulato della Trinità di Venosa, F. Alessandro Villani. Nel 1936 il Vescovo di Ascoli Satriano e Cerignola Mons. Vittorio Consigliere (1932 – 1946) fece restaurare la Chiesa dedicata a Maria SS., S.Giovanni Battista e al Beato Benvenuto da Gubbio con le offerte dei signori Gentile, Pavoncelli, Ciampolillo, Chieffo, Cibelli, Pistacchio e D’Agostino. Il Vescovo di Ascoli Satriano e Cerignola Mons. Mario Di Lieto (1957 – 1987) elevava la Chiesa a Parrocchia rurale. L’altare è in pietra calcarea con in rilievo la Croce dei Cavalieri di Malta. Le suppellettili sono sistemate in un armadio a muro. Sulla parete destra esiste una lapide del baiulo di Venosa, dei Cavalieri di Malta. Dirimpetto si trova una lapide che riporta i nomi di coloro che contribuirono al restauro nel 1935. La Chiesa è in ottime condizioni di conservazione e manutenzione. E’ una Chiesa attiva. Sull’altare esiste una tela ad olio. Il pavimento è in quadroni di argilla cotta. La facciata è decorata con lesene modanature. Il frontone è a traccia mistilinea e curva ellittica. Il campanile è spostato sul lato destro ed è zoppo. il Beato Benvenuto nacque a Gubbio nel 1190 da nobile famiglia. Si stabilisce a Corneto nel 1224. Dall’inchiesta fatta su frate Benvenuto da Gubbio nelle 43 testimonianze raccolte, i miracoli sono stati vari: guarigioni da malattie, restituzione di parola, liberazione dei campi dai bruchi, guarigioni di indemoniati. I luoghi dove si sono verificati i miracoli sono stati: Corneto, Ordona, S. Agata, Salsola, Candela, Montemarano, Foggia, Melfi, Minervino e Pescopagano. Morì il 27 giugno 1232, Fu proclamato Beato da Papa Innocenzo XII nel 1697. E’ Patrono di Deliceto (FG).

FEDERICO II, IMPERATORE - Ricostruisce il suburbio di Corneto che si sviluppa intorno alla Chiesa di S.Giuliano nell’anno 1200. La città di Corneto fu distrutta nel 1190. Nel 1216 concede ai Cavalieri Teutonici il Feudo di Bisciglieto in agro di Ascoli. Il 26 dicembre 1220, durante il governo della Diocesi da parte del Vescovo Giovanni Da Monte, conferma quanto stabilito dal re Guglielmo II, al Capitolo Cattedrale medievale di S. Maria in Principio di Ascoli il privilegio di riscuotere le decime nei territori di Ascoli, Candela e Corneto ed in un luogo assegnato per la vendita delle merci sulla piazza della città. Nel 1226 concede al Vescovo di Ascoli Giovanni da Monte il diritto di riscuotere le decime degli ebrei di Ascoli. L’8 settembre 1231 concede all’Ordine teutonico le terre presso Corneto, in località Acqualata. Hubert Houben L'Ordine religioso-militare dei Teutonici a Cerignola, Corneto e Torre Alemanna Kronos. Periodico del DBAS (Dipartimento Beni, arti, storia), Lecce 2 (2001) Convegno «Il territorio di Cerignola dall'età normanno-sveva all'epoca aragonese» (XIV Convegno «Cerignola Antica»), il 29 maggio 1999, i cui atti sono ancora in corso di stampa. La storia dell'Ordine teutonico nella così detta Terra di Capitanata, odierna provincia di Foggia, interessa quasi esclusivamente le aree di Cerignola, Corneto (a sud-est di Ascoli Satriano) e di Torre Alemanna. Terminus post quem di questa storia è la scelta di Federico, nel 1223, di fare della Terra di Capitanata la sua residenza preferita. Da allora, di fatti, vari documenti sia di tipo pubblico (Statuto sulla riparazione dei castelli del 1240-1245, il Quaternus de excadenciis Capitanate del 1248-1249, le donazioni di Federico II, per il tramite del suo consigliere Ermanno Salza, nel 1231 ai Teutonici di Corneto, le Rationes decimarum del 1231, etc.) sia di tipo privato (alcune donazioni, datate tra il 1224 ed il 1227 a Corrado di Basilea, commendatore teutonico in Barletta, da parte di abitanti di Cerignola, Corneto, Ascoli Satriano e Melfi; altre donazioni del 1231, del 1237 e fino al 1326 fatte questa volta al commendatore teutonico di Corneto) attestano in modo chiaro che l'ordine dapprima espande, per il tramite della sua commenda di Barletta, i suoi possedimenti nel territorio di Cerignola, Corneto e Melfi, e poi vede nascere, nel 1231, la nuova e da subito potente sede (commenda) di Corneto, ancora forte lungo i primi decenni del 1300 ed attiva, anche se con diversi problemi, almeno fino al 1349 (distruzione di Corneto a causa della guerra tra Giovanna I e Carlo III di Durazzo), quando lascia il suo primato alla vicina Torre Alemanna, con cui formerà un tutt'uno, attestata per la prima volta nel 1334 ma fiorente soprattutto durante il '400, al pari allora solo delle sedi teutoniche di Bari, Brindisi e Barletta, come confermano anche le testimonianze archeologiche. In un atto del 9 maggio 1489 conservato nell'Archivio del Monastero di Montevergine si legge che tale Quattrocchi Polidoro, di Ascoli, fa istanza al re di Napoli di concedergli una "mezzana" in Corneto per far pascolare e suoi sessanta buoi al posto di un'altra "mezzana", dote di sua moglie, dove ora pascolano "le jumente de la ...Maestà". Il re accoglie la supplica. "regio dohanerio pecudum apuliae", in data 21 ottobre 1488, dopo accurate informazioni, concede al Quattrocchi una mezzana in Corneto (XV,75). Testo del regesto n.4440: Foggia. In un atro atto risultano in Corneto ben tre parrocchie: S.Giovanni, S. Pietro e S.Maria oltre alla chiesa di S.Francesco. REGESTO DELL'ANNO 1455. Il Convento e la chiesa di San Giovanni Battista: il Convento diventa luogo francescano a partire dall’anno 1455; il Convento e la chiesa di San Potito: La fondazione del convento e della chiesa nel 1623, segnò l’insediamento in Ascoli del movimento francescano dei Frati Riformati. La chiesa fu consacrata nel 1765 dal vescovo Mons. Giuseppe Campanile; il Convento di Corneto: Questo luogo francescano è sicuramente il più antico. La sua origine è legata alla presenza in Corneto di frate Benvenuto da Gubbio nel 1224. La prima testimonianza ci parla di un frate Nicola, guardiano dei frati in Corneto. Tale frate forse è il fondatore della comunità francescana di Corneto. Altra figura francescana di notevole importanza fu il beato Ludovico da Corneto, dove nacque nel 1500; la Colonna crocifera Francescana: ai limiti del piazzale antistante il complesso religioso francescano ( chiesa e convento di San Potito ), è installata una colonna con in cima una scultura ad altorilievo di chiaro simbolismo francescano. La colonna è costituita da una breccia calcarea chiara a grosse scaglie non di origine locale. E’ quasi certamente una colonna di origine romana riutilizzata per apporvi il simbolo cristiano della croce. Installata su una base quadrata, ha in alto un accenno di capitello dorico, sul cui pulvino è sistemata una Croce di pietra grigia, scolpita ad altorilievo. Su un lato è scolpito un Cristo in Croce, sul lato opposto è scolpito la Madonna. Sul collo del capitello è inciso il simbolo francescano, dal lato opposto si legge l’anno dell’installazione: A.D. 1689.

FEDERICO II

MANDURIA

Quattrocchi da Lavello (PZ) con Scipione Quattrocchi (I metà XVII sec.), coniugato con Virginia De Vincentiis, di professione giureconsulto (UJD). Questa famiglia ebbe un prete e una monaca Benedettina. (LM,col.1783).

Iconografia Nicolaiana a Manduria - Fondazione Terra D'Otranto - Nel 1720 la famiglia Arno'Quattrocchi, devotissima di questo Santo, fece costruire a proprie spese un altare di marmo nella chiesa dei PP. (o il santo in trasferta)


Postato il 04/02/2013 da fondazione terradotranto 1) Morte di San Nicola di Nicola Morrone. San Nicola di Bari, si sa, è il patrono di Uggiano Montefusco. Nella frazione di Manduria esiste infatti la cappella del sec. XVIII dedicata al Santo, corredata della statua di cartapesta dipinta del sec. XIX e del relativo reliquiario.E sarebbe interessante che i ricercatori locali precisassero, nei limiti consentiti dalla documentazione disponibile, quando è stato introdotto a Uggiano il culto del Santo. Ma esistono tracce di una devozione per San Nicola anche nella vicina Manduria. Le abbiamo recentemente rintracciate e ricostruite, anche sulla scorta di un interessante documento manoscritto a firma di don Salvatore Greco (1842-1922), arciprete di Manduria dal 1898 alla morte. Tale documento si trova nel Fondo Manoscritti della Biblioteca Comunale di Manduria, recentemente riordinato dallo studioso Elio Dimitri e cortesemente messo a disposizione dei ricercatori di patrie memorie dalla Dott.ssa Carmelina Greco. Il foglio manoscritto, collocato MS-A-XVII-13, può ben rappresentare, per le notizie in esso contenute, un ragguaglio storico sull’iconografia nicolaiana a Manduria. Lo abbiamo verificato ed approfondito, per avere un’idea complessiva delle tracce superstiti del culto del vescovo di Myra nella città messapica. Di cosa si tratta? Di una lettera, che don Salvatore Greco inviò il 25 Settembre 1898, su richiesta dal vescovo di Oria, fornendo alcune indicazioni storiche sul culto di San Nicola nella nostra città, poco prima che Leonardo Tarentini pubblicasse la sua “Manduria Sacra”, uscita per i tipi della D’Errico nel 1899. Siamo portati ad immaginare che il Greco si sia consultato con il Tarentini per le notizie storiche da fornire al vescovo: il Tarentini era infatti a quell’epoca il miglior conoscitore delle vicende storiche della chiesa mandurina, nelle sue varie articolazioni. 2) Morte di San Nicola. L’arciprete della chiesa matrice afferma di essersi comunque documentato soprattutto nell’Archivio della Collegiata, che all’epoca del Tarentini rappresentava una vera miniera di notizie, prima delle dispersioni di documenti che ebbero luogo nel sec. XX.Orbene, nella sua notizia il Greco afferma testualmente che “nell’anno 1300 esisteva in questa Collegiata un altare dedicato a San Nicola, di cui si ignora l’origine. Nel 1555 lo stesso altare fu demolito e rifatto immediatamente . Nel 1755 fu assolutamente distrutto per le modifiche avvenute nella chiesa, ma il Capitolo per conservare la memoria del Santo fece scolpire una statua in pietra di Lecce, dorata, che tuttora esiste in una nicchia nell’abside dell’altare maggiore. Nel 1640 esisteva fuori dalle mura di questa città una chiesolina dedicata al Santo, e propriamente sita alla metà di quel viottolo che comincia poco più in là del convento dei Padri Passionisti, e avea detta chiesa un altare ed un affresco rappresentante il Santo Vescovo fra un coro di angeli.[….] Nel 1737 la detta cappella era quasi cadente, tanto che il Capitolo medesimo ne ordino’ la demolizione, e fino a questi ultimi tempi si vedevano gli ultimi avanzi. Nel 1720 la famiglia Arno’Quattrocchi, devotissima di questo Santo, fece costruire a proprie spese un altare di marmo nella chiesa dei PP. delle Scuole Pie in Manduria, ed ora la Congrega del Carmine, con un quadro di tela rappresentante la preziosa morte del Santo Vescovo. Il bozzetto di detto quadro trovasi nella Chiesa degli ex Cappuccini di Manduria, ora i frati minori di San Francesco, regalato dal sig. Felice Sala. Nella Chiesa dell’Immacolata anche in Manduria nel 1737 esisteva un altare, dedicato al detto Santo fin dal 1667, con un affresco rappresentante il Santo in atto di pregare“. In conclusione, l’unico elemento superstite di una vera e propria devozione per il Santo Vescovo di Myra a Manduria è attualmente la cappella collocata nella chiesa dei SS. Apostoli (comunemente detta delle Scuole Pie), sul lato destro dell’unica navata. Si tratta di una notevole testimonianza d’arte, di marca schiettamente barocca, costituita da un insieme organico e ben strutturato di elementi architettonici, plastici e pittorici. Essa documenta la presenza di una devozione di segno aristocratico (di cui non possiamo valutare l’attecchimento nella popolazione, per mancanza di testimonianze): l’iniziativa della costruzione della cappella si deve infatti alla famiglia patrizia degli Arno’ Quattrocchi, che nel 1710 (secondo il Tarentini) o nel 1720 (secondo Don Salvatore Greco) vollero finanziare la realizzazione dell’opera, come documentano, tra l’altro, gli stemmi nobiliari posti nei cantonali della macchina d’altare. La cappella è caratterizzata dalla presenza di un sobrio altare, un commesso marmoreo ad intarsio (verosimilmente opera di artefici napoletani), e da una cona poco aggettante , che occupa l’intera parete della cappella, e che è qualificata dalla tela centrale, un dipinto di ambito pugliese raffigurante la Morte del Santo, risalente, secondo la recente catalogazione effettuata da M. Guastella (2002) alla meta’ del ‘700. Ai lati della tela, due interessanti inserti plastici: due putti alati su mensole, che reggono gli attributi iconografici di San Nicola, denotanti la sua dignità episcopale, cioè la mitra e il pastorale (quest’ultimo perduto). www.fondazioneterradotranto.it/.../iconografia-nicolaiana-a-manduria-o-...? 04/feb/2013

Famiglie_di_Manduria_dal_XV_secolo

FOGGIA

I Nostri Antenati a cura di Alberto Mangano www.manganofoggia.it

Da documenti risalenti al periodo della presenza di Federico II a Foggia, si possono estrapolare alcuni nominativi riportati: essi rappresentavano coloro che avevano a che fare con i beni della corona e che venivano riportati come Fittuari. Dalla loro analisi si può verificare se esistono ancora alcuni cognomi e stabilire se oggi esistono famiglie foggiane che vantano antenati di circa 8 secoli fa. Riporto fedelmente quello che riporta un prezioso testo del 1933 di Benedetto Biagi che si intitola Foggia Imperiale che fa proprio un elenco di queste persone. La popolazione della sede imperiale. Al tempo della dominazione Sveva la popolazione di Foggia dovette essere considerevole. Solo nello Scadenziere abbiamo la indicazione di oltre duecento famiglie. Non v’ha dubbio che queste rappresentarono una piccolissima parte del complesso dei cittadini di questo centro abitato. Noi le troviamo nominate nello Scadenziere solo per il fatto che ebbero in affitto dei beni della corona. Però molte altre dovettero popolare le numerose strade e contrade della città di Foggia Imperiale! E’ degno di nota vedere che la popolazione è varia, di diversa condizione sociale e dedita a numerose arti ed a svariati mestieri. Sono pastori, agricoltori, macellai, fabbri, fornai, ortolani, calzolai, affittuari, mercanti, orefici, ecc. rimasti a rappresentare il complesso dei cittadini che vivevano nella città, resa splendida da Federico II. Ciò denota il grande impulso commerciale, agricolo, industriale avuto da Foggia nel medioevo. Nell’esame dei cognomi, registrati nello Scadenziere, sorprende il vedere che molti di coloro che sono nominati portano il casato di numerose famiglie inscritte nei registri della popolazione attuale. Non è questa la prova più evidente dell’attaccamento dei cittadini al natio loco, non è questa la testimonianza più bella delle floride condizioni della città, non è questa la dimostrazione più sicura che essa offriva un ambiente ricco ed igienico alla massa della popolazione? Per curiosità storica, ed anche perché molti dei cittadini attuali possano vedere quanto remota sia l’origine della loro stirpe, riportiamo l’elenco delle persone nominate nelle Scadenziere. (Forse sarebbe stato più esatto riprodurre questi nomi e cognomi nel testo originale latino. Comunque avvertiamo che non sempre è possibile avere la certezza che quello che segue il nome sia il cognome, potendo esso corrispondere al nome del padre, o del paese d’origine, di colui che venne registrato nell’elenco). Esse sono: Leone Russo. Nicolò di Barbato. Giacomo di Falco. Bartolomeo Giov. D’Amato. Giovanni di Bivaldo. Tomaso di Tancredi. Mattia di Leone. Orso di Fabbrica. Leonardo di Vergenetta. Berardo Giov. Di Ruggero. Simone de Bona. Bartolomeo di Sonetto. Pietro Giovanni Greci. Guglielmo di Gualtieri. Riccardo di Massaro. Guarisco di Bisancia. Nicolò de Caro. Giovanni. Benedetto di Trotta. Nicolò di Petricca. Roberto di Sione. Robertino di Palermo. Palmeri Daltina. Berardo Jacono. Roberto Casalfani. Leone Castaldi. Ambrogio di Troia. Donadio de Greci. Riccardo da Lima. Nicolò di Pascale. Riccardo Maraldo. Rainaldo di Civitella. Grimaldo di Bulgaro. Roberto de Melchia. Pietro Maraldo. Marino di Camera. Bernardo di Guerra. Roberto di Gualtieri. Bartolomeo di Grisanto. Giovanni de Serena. Vasacco de Camera. Berteraimo di Bulgaro. Giovanni Biccarosa. Calmieri Giovanni di Bruna. Tommaso di Sulmona. Giovanni d’Andria. Leone di Sergio Rossi. Macario de Silvestro. Giovanni di Bernardo. Bartolomeo di Giuliana. Ruggero di Pellegrino. Leone Grassi. Riccardo da Lima. Enrico di Pietrafitta. Giovanni di Gallo. Giovanni d’Andrea. Roberto di Milone. Benedetto di Origina. Giovanni di Petracca. Pietro Sicco. Gualtieri di Madio. Giovanni Ricci. Pietro di Troia. Pellegrino di Nicolò. Alessandro di Banca. Roberto di Melchia. Nicolò Calochuro. Giovanni Carazzo. Nicolò di Pietrafitta. Tommaso di Arrenda. Giovanni di Biccari. Pellegrino di Petracca. Nicolò Coppola. Roberto del Cervo. Roberto di Mineiro. Nicolò di Luscogna. Gualtiero di Cosenza. Andrea di Cassidonio. Ruggero di Tancredi. Leone Castaldo. Bernardo di Guerrieri. Girualdo di Rambaldo. Roberto di Sione. Bartolomeo di Poto. Giovanni d’Ambrosio. Baliano di Moraldo. Roberto di Marchia. Ippolito di Bona. Giorgio Pizzulo. Marco de Ruggeri. Giovanni della Torre. Alessandro Palmenterio. Roberto di Pulsano. Ruggero di Giordano. Diletta di Sulmona. Pietro di Bianca. Lorenzo di Bitulo. Alfierana de Giorgio. Gregorio d’Ancona. Trotta Captano. Matteo di Carramano. Giovanni Canapino. Maria Lombarda. Matteo di Serra. Tommaso di Mulone. Iacono Alfieri. Pagano di Todina. Nicola Forti. Roberto di Ariano. Risa Giovanni Forti. Nicolò Russo. Giovanni de Gregorio. Giovanni Russo. Roberto de Luca. Paolo de Rosaria. Nicolò Apporta. Giovanni di Todora Matteo di Barbapietro. Pietro di Montecalvo. Sancto Pietro di Coppa. Porpora de Simeone. Silvestro de Maiore. Giovanni di Contorione. Pietro di Sebastiano. Giovanni Cumini. Giordano di Giardina. Guglielmo d’Alberto. Giovanni Ricci. Riccardo di Maraldo. Jacono Elia. Nicolò di Mattaglione. Pietro di Bisancia. Gualtiero Spaciano. Giovanni Greco. Nicolò di Nicolesio. Vitale di Giardina. Pietro di Giacomo. Giovanna de Filippo. Gemma de Grimaldo. Cristoforo di Abbamonte. Giovanni di Matteo. Palma di Bibino Pietro Russo. Giacoma de Luca. Vincenzo di Monopoli. Giovanni di Berardo. Bonaccorso de Rosa. Clemente de Filippo. Nicolò di Salvia. Leonardo Marchesano. Ruggero di Barbamadio. Giovanni d’Alfieri. Pellegrino di S.Erasmo. Giovanni di Melchiano. Guglielmo d’Alberto. Angelo di Maiorava. Gregorio di Moscato. Nicolò d’Albadocia. Bartolomeo di Silvestro. Riccardo di Bilancio. Terretta di Bonomo. Calmieri Iacono di Giov. Bartolomeo di Giacobbe. Giovanni Quattrocoglioni. Giovanni di Axletino. Guglielmo di Venula. Giovanni Caironi. Mariacita de Tirenzio. Stefano di Caratenuta. Maria di Alferana. Gaito di Pietro. Roberto Pagani. Roberto di Sperveria. Giovanni di Morena. Giovanni Quattrocchi. Marco di Massara. Giovanni Lombardi. Ippolito Giovanni. Bella di Filippo. Giovanni di Ariano. Matteo di Palmeri. Tancredi di Aspilla. Matteo di Noe. Pietro di Abioso. Alberto di Pace. Giardina de Gentile. Pietro di Padule. Lorenzo di Montecalvo. Bartolomeo di Lapagio. Bella di Gaudiano. Jacono Bernardo. Goffredo di Zacheo. Ruggiero di Giuseppe. Guglielmo Scamoso. Alfieri di Cecilia. Matteo di Sprevera. Leonardo di Amelina. Nicolò di Troia. Andrea di Migliorato. Guglielmo di Pietro. Riccardo di Lima. Nicolò di Pietrasecca. Racadino di Camera. Palmeri di Corvo. Giovanni Patrizio. Alessandro di Bancia. Giovanni di Madio. Gemma di Alto. Ambrogio di Troia. Ruggero di Pellegrino. Jeronimo di Roberto. Giovanni d’Andrea. Riccardo di Maraldo. Tommaso d’Arsenda Ambrogio di Giacomina. Taffuro di Enrico. Giovanni Ladrone. Pietro de Riso. Alessandro di Banzia. Roberto di Sione. Roberto de Milo. Goffredo Corbiseri. Berardo di Grisanto. Alessandro di Corvo. Bernardo de Leone. Giraldo de Bulgaro. Napoleone d’Ambrosio, Giovanni d’Ambrosio, Matteo di Commestabile. Basacco di Camera. Giovanni di Guglielmo. Nicolò de Radulfo. Pietro Maraldo. Calmieri Giovanni di Bruno. Guglielmo d’Ippolito. Leone di Benfatta. Giovanni d’Andrea. Palmiero da Lima. Carsidonio Biccarese. Riccardo di Maraldo. Pellegrino di Calmieri. Taffuro d’Ambrogio. Matteo di Mazzone. Ruggero di Maddaloni. Simone di Petracca. Pietro di Sica .Pellegrino di Nicolò. Matteo di Meglio .Alessandro di Corvo .Tommaso di Milone

OTRANTO

LECCE

AMILCARE FOSCARINI, Lecce d'altri tempi, in Japigia
ECCLESIA S. JOANNIS QUATTROCCHI

Un Atto del 1596 del notar Paolo Schipa da Lecce è particolarmente, interessante per la topografia e per la storia religiosa della nostra città.
Questo atto registra un Breve Apostolico di Clemente III col quale visto che 25 cappelle della città di Lecce come era stato esposto dal Vescovo Scipione Spina erano dirute ed indecenti, senza rendite e prive di rettori, si ordinava di sconsacrarle e di ridurle ad usi profani. Si ordinava inoltre di venderle, o di verderne l'area, e di devolverne il ricavato nell'acquisto di beni stabili le cui rendite andassero a beneficio della Mensa Capitolare di Lecce. Le Cappelle (Chiese) erano, come ho detto, 25, che io elenco ordinate per portaggio, come le trovo notate

Portaggio di S. Giusto
1. Ecclesiae 8. fusti extra moenia intus iardenus quondam magnifici
Paduani Guarini extra portam S. Iusti.
2. Ecclesia S. Viti de tarsi nuncupata (8).
3. Ecclesia S. Marci Calavite.
4. Ecclesia S. Joannis Quattrocchi (9).

S. Joannis Quattrocchi. La Cappella omonima che dava nome all'Isola, diversa da un'altra Capp. denominata "il Quattrocchi" esistente, nel sec. XVIII, e sita fuori le mura presso quella di S. Giusto che dava nome alla Porta, nel 1508 doveva essere diruta o già demolita, giacchè non è menzionata nella S. Visita del 1544 e nella "Lecce sacra" dell'Infantino. Nell'attuale via Leonardo Prato che facea parte dell'Isola, sorgeva il bello e artistico Palazzo Guarino dove abitava Paduano de Guarino dei Baroni di Acquarica con la famiglia, compreso quel Ludovico suo figlio, poeta e cosmografo che, nel 1570, ne era il possessore......

(I) ARCHIVIO DI STATO m LUCE, Schede notarili, Atti del Notar Paolo Schipa da Lecce, Anno 1596, pagg. 94 e segg., Atto del 28 maggio. Mi è stato comunicato gentilmente dal direttore dell'Archivio dottor Giovanni Cota.
(8) L'INFANTINO op. cit., p. 86,-scrive: « Oltre un'altra cappella dedicata al glorioso S. Vito, invitto soldato di Cristo, della quale s'è parlato nella Parrocchia della Cattedrale, vi è quest'altra alla quale si unì gli anni passati un'altra piccola cappella sotto il titolo di S. Nicolò Vescovo di Mira, si che di due cappelle se ne fè una sola. Questa di S. Vito possedeva anticamente un piccolo feudo, nominato il Tasso come si trova notato in una visita antica a tempo di Mons. Tolomei dell'anno del Signore 1480.
(9) Cfr.: FOSCARINI, op. cit., p. 437. AMILCARE FOSCARINI, Lecce d'altri tempi, in Japigia, VI, p. 435.

Appunti e note Lecce nel '600: rilievi topografici e demografici — I gonfaloni del quattro " pittagi " che componevano la città. viene riportato: S. Joannis nuncupata (dedicata) Quattrocchi.

PUTIGNANO

CONTRADA QUATTROCCHI - PUTIGNANO - BARI -PUGLIA

VASTO

CONTRADA QUATTROCCHI - VASTO -FOGGIA- PUGLIA

 

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