SIMBOLI

DIZIONARIO RAGIONATO DEI SIMBOLI - DI GIOVANNI CAIRO - FORNI EDITORE

OCCHIO - QUATTRO OCCHI

L'occhio è naturalmente il protosingrafo della vigilanza.Gli armeristi usano l'occhio per indicare giudizio retto e intelletto sveglio (Guelfi) La pupilla si trova spesso sui monumenti antichi, ed è l'emblema di Osiride, il Sole che getta gli sguardi su tutto il mondo (Plutarco). La pupilla mistica di Osiride - L'ouzait imbellettato - assicurava al morto la protezione e le virtù del Sole e della Luna. Quattro occhi riuniti gli concedevano la facoltà di vedere nelle quattro cose del mondo e di esservi in sicurtà. Nell'antico Egitto l'Occhio di Horus era simbolo potentissimo di regalità e di protezione, chiamato anche UDJAT ossia ”Occhio della Perfezione”: esso raffigura, infatti, la totalità della conoscenza. 1/4 rappresenta la vista e la luce (pupilla)

Nel Buddismo tibetano-DZI con 4 occhi:

I 4 occhi indicano i 4 maggiori Bodhisattvas. Questi sono esseri illuminati che hanno rinunciato ad entrare nel paradiso per rimanere sulla terra ed aiutare le persone che hanno ancora bisogno. Questo DZI donera' al portatore saggezza, compassione, aiuto a liberarsi dalle sofferenze e fortuna nella vita. Aiutera' nel raggiungimento di meriti particolari.

NUWA E FU XI - SOVRANO CINESE INVENTORE DELLA MEDICINA

Antico dipinto di Nuwa e Fu Xi riportato alla luce nella regione di Xingjian.

La Medicina Tradizionale Cinese è una disciplina estremamente complessa e dalle origini antichissime che soprattutto negli ultimi decenni ha raggiunto anche in Occidente una forte diffusione ponendosi sia come valida integrazione che come alternativa terapeutica alla medicina classica per tutti coloro che ricercano un approccio alla salute più globale e attento all’armonia tra uomo e cosmo. Le origini della Medicina Tradizionale Cinese risalgano a più di 5000 anni fa. Secondo la leggenda risalgono a tre leggendari imperatori: Fu Xi fu uno dei tre mitici sovrani cinesi detti I Tre Augusti, vissuto, secondo la tradizione, tra il 2952 e il 2836 a.C.. Si tramanda che avesse Quattro occhi e una coda di serpente; veniva rappresentato sempre allacciato, tramite la coda, alla sorella Nuwa. E’ ritenuto l'inventore della metallurgia, della scrittura, del calendario e anche l'iniziatore di varie attività umane, tra cui l'allevamento degli animali, la pesca, la musica. Viene ricordato anche per il suo celebre diagramma, detto Diagramma di Fu Xi.

Il mondo degli ideogrammi: una visione storica e linguistica dell’imperatore (Huang)

I Caratteri sarebbero nati così. Fú Xi non fu il solo; anche Huáng Dì, vissuto quattromilasettecento anni fa, è ritenuto il padre della scrittura. L’imperatore Huáng-Giallo avrebbe ricevuto in dono i caratteri da un drago, uscito dalle acque del Huáng he-Fiume Giallo. Un’altra leggenda attribuisce l’invenzione dei caratteri a Cang Jié, ministro dell’imperatore Huáng, che si sosteneva avesse Quattro occhi. Cang Jié ammirando la forma delle stelle del firmamento, le venature dei gusci di tartaruga, il volo degli uccelli, le tracce degli animali, ebbe l’ispirazione ed inventò gli Ideogrammi.

SARDAN-ERACLE-BAAL-MARDUK-MILQART-4 OCCHI

Associa DAN ai Tuatha de DANA, di cui Lugh era Dio... Infine il nome Beleno non è altri che BAAL, identificato col sole, con SANDONE (SANSONE, SARDONE... SARDO!) Lugh aveva le caratteristiche di ERACLE. Spesso SARDO è chiamato figlio di Eracle, e identificato con Eracle stesso.. come accadeva con SARGON (Sardon) e MARDUK, ambedue rappresentati con ELMO CORNUTO. Alle volte con QUATTRO OCCHI e QUATTRO BRACCIA... PS: Tuatha de DANa = Gente di DANa... o Tribu di DANa...Resta il mistero di uno strano eroe o di una divinità che ci piace chiamare Sardan, a volte identificato con il greco Eracle, il semitico Baal, il babilonese Marduk o il temuto Milqart dei Fenici. Ha quattro occhi (che sembrano quasi occhiali da motociclista) come Marduk, quattro braccia come Apollo a Sparta, la testa circolare sembra contenuta in un casco ed è sormontata da due antenne (come gli dei Mesopotamici) terminanti con due pomelli con tanto di avvitatura, indossa una specie di tuta attillata che termina a girocollo in alto e con due stivali in basso. Porta due scudi con al centro due punte dalle quali partono raggi, e dall'impugnatura degli scudi partono due strani tubi che gli terminano dietro la nuca. Gli Shardana, ad esempio, si ristabilirono in Sardegna a partire dal 1550 a.C. circa come confermano alcuni scritti egizi, ittiti e greci.

Abini - Guerrieri con quattro occhi e quattro braccia due scudi, bronzo altezza cm.19. divinità, eroe, essere demoniaco, leggendario guerriero o semplice prodotto artistico culturale di un abile artigiano vissuto tra il X e il XII Sec.a.c. proveniente dal Villaggio Nuragico Federale di Abini (Teti) offerto alla divinità dell’acqua a cui era dedicato il tempio – volto ovoidale, marcato da zigomi sporgenti, un mento affusolato e quattro occhi sporgenti globulari – l’abbigliamento appare differenziato dalle raffigurazioni dei vari guerrieri quindi fa supporre ad una loro organizzazione militare – un vistoso copricapo dalle lunghe corna, con due braccia esibisce due scudi e con altre due regge delle spade,secondo i padri dell’archeologia nuragica rappresenta ideali mitico religiosi che trovano un parallelo in figure iperantropiche orientali. Teti, città della Sardegna apparentemente sperduta, è il luogo del più importante villaggio nuragico in termini di ritrovamenti in terra sarda. Il bronzetto più famoso è quello raffigurante il dio Sandan (Sardan, Sardus) figlio di Eracle (Ercole Egizio), chiamato anche Marduk, Dioniso, Eshum, Visnù, Asclepio, rappresentato sempre con quattro occhi e quattro braccia e con antenne o corna. Era il dio degli Shardana, il “Popolo del Mare”, quel popolo di navigatori che toccarono l’intero mondo conosciuto lasciando proprie tracce ovunque. Le loro navi vengono osservate e ricoperte di domande riguardanti la loro strana struttura fatta a prua alta, con un mezzo un palo molto alto, su cui montavano una specie di bussola a mezzaluna sopra una sfera, così sono stati interpretati gli innumerevoli disegni delle navi ritrovati in Sardegna. Per le strade di Teti ad ogni segnalazione è possibile trovare il simbolo del dio-guerriero dai quattro occhi, vanto del paese.

MARDUK - "la Saga di Gilgamesh"

La “Guerra degli Dèi" è una narrazione vecchia di almeno quattro millenni ed appartiene alla tradizione babilonese.Il protagonista della narrazione è il dio supremo della capitale babilonese Ninive, Marduk dai quattro occhi. Inizialmente non vi era né il cielo, né la terra, ma esistevano solo l'acqua salata e quella dolce, mischiate tra loro a simboleggiare il chaos primigenio ; Apsu (il principio maschile) e Tiamat(quello femminile) governano le acque e dalla loro unione ha origine tutta la stirpe divina. Dai loro nipoti Anshar e Kishar, rispettivamente lo spirito di tutto quanto era sopra e quello di tutto ciò che era sotto, nasce Anu, il Cielo e da questi a sua volta deriva Ea. Marduk, figlio di Ea, viene al mondo con caratteristiche molto particolari: é già pienamente virile, ha quattro occhi e quattro orecchie, è di forma imponente e maestosa, di statura gigantesca ed ha lo splendore di dieci déi. In taluni aspetti ricorda Atena sia perché nasce già adulto sia perché si dimostrerà un abilissimo stratega (infatti Atena aveva fra i suoi attributi anche quello di dea della guerra; mentre Ares personifica la forza selvaggia del guerriero ella ottiene la vittoria grazie ad una superiore intelligenza e saggezza, nonché ad una profonda conoscenza dell'arte bellica). Inoltre a differenza degli altri déi della cosmologia babilonese non presenta alcuna associazione con fenomeni naturali, proprio come la protettrice di Atene.

TIAMAT

Tiamat è la personificazione delle acque salate nella mitologia mesopotamica. Sposa di Apsû, secondo il mito fu la progenitrice della stirpe divina. Appartenente alla mitologia babilonese, secondo il poema Enuma Eliš genera insieme al marito i serpenti mostruosi Lahmu e Lahamu; questa progenie dà poi vita agli dei primordiali Anšar (dio dell'Alto) e Kišar (dio del Basso), i quali generano gli dei Anunnaki. Fra questi Marduk (dio della terra), unico valoroso in grado di affrontarla, sconfigge Tiamat, secondo una prima interpretazione, con l'aiuto di un forte vento, che le impediva di chiudere la bocca, e scagliando dunque una freccia che le trafisse il cuore attraverso la gola, simboleggiando così la vittoria dell'ordine sul caos, mentre secondo un'altra interpretazione grazie all'aiuto di una rete magica, imprigiona Tiamat e la fa esplodere, dopo averle infilato nel corpo il dio-uragano; quindi con il corpo del drago spaccato in due parti, Marduk crea il Cielo e la Terra. Generalmente è descritta come una specie di drago. In alcune versioni la si descrive come una creatura con testa di coccodrillo, denti da orso, corna da toro, criniera e zampe da leone, ali da aquila, corpo da serpente; altre versioni si soffermano sulla caratteristiche da androgino primitivo, evidenziate dalla doppia faccia, dai quattro occhi e orecchie.

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SUMERI E IL MITO ANUNNAKI


FUNTANA RAMINOSA

Millecinquecento anni fa: un altro libro della stessa storia parte dal fondo dei tacchi di Laconi, Aritzo, Seulo, Seui, e sale al monte nelle case delle aquile.
Il monte è fortezza segreta, a custodire il rame prezioso che miscelato con lo stagno farà spade, e statuine di dei quattrocchi e quattro braccia. Siamo nuragici, nell’età del bronzo. Il rame rosso lo abbiamo solo noi nel mediterraneo: sgorga abbondante dalla pietra aperta come da una Fontana Raminosa.
Costruiamo fortezze con macigni striati di verderame, senza finestre come le gallerie dentro la terra dove scappa la volpe: e anche noi impariamo a nasconderci.

GIANO BIFRONTE

Giano, definito anche Janus Pater, padre di tutti gli uomini, della Natura e dell'Universo, fu essenzialmente il dio dell'apertura e dell'inizio, con caratteristiche simili a quelle della divinità solare che apre il cammino alla luce accompagnando l'attività umana nel corso della giornata.
Presiedendo alle porte, aveva la chiave e il bastone; sorvegliava tutto ciò che stava all'interno della città o della casa, non perdendo però di vista quello che accadeva all'esterno, e quindi era rappresentato con due facce (Giano bifronte). Il tempio a lui dedicato doveva rimanere aperto in occasione di imprese belliche, ma solennemente sbarrato in tempo di pace, e le cerimonie che avevano luogo per la chiusura delle porte del tempio tendevano ad esaltare il ruolo di custode della pace del dio Giano, perché solo in una situazione di tranquillità la vita quotidiana può dar luogo ad esordi positivi e creativi. A Roma, ritroviamo traccia dei suoi rapporti con le querce nei querceti del Gianicolo; il colle sulla sponda destra del Tevere, dove si narra che Giano regnasse sovrano agli albori della storia italica.
Inoltre, l’area Vaticana, su cui la stessa Basilica di san Pietro è stata eretta, fu un’area sacra fin dai tempi preistorici, nonostante il fatto che «Originariamente il Campus Vaticanus si estendeva in quella bassura compresa fra il monte Gianicolo e il Tevere che Tacito appellava Infamibus Vaticani locis… (xiv degli Annali, c. 14) per le putrescenti acque freatiche ch’ivi stagnano (Marrana)» [G. Di Nardo, Il ritrovamento della tomba di San Pietro, «Antologia di letture interessanti», 18 (nuova serie), Casa Editrice Dott. Alberto Tinto, Roma Gennaio
1951(xxvii)]. Tale località, afferma Gellio [lib. xiv], fu chiamata Campo Vaticano dal dio preposto ai vaticini. Varrone identificò questo dio con Ajo, ossia il Dio Primo Loquente (Dio Verbo) o dal primo vagito, che ebbe un tempio in tale luogo. Festo e lo stesso Gellio fanno poi riferimento a un antichissimo Oracolo di Giano, che si è ipotizzato fosse situato sotto il colle del Gianicolo, per cui il dio in questione altri non sarebbe che Giano vaticinante. A riguardo, risulta indicativo che Catone, nelle Origini, chiami Giano Dio Vaticano e signore delle terre tuscie a sinistra del Tevere (mentre Saturno governava il Lazio). Fabio Pittore ci fornisce invece notizie riguardo la personificazione di Giano quale Dio Portinaio rappresentato con la verga e le chiavi: questa antropomorfizzazione è molto nota, anche grazie a Ovidio e alle sue opere I Fasti e Le Metamorfosi (due edizioni critiche de I Fasti emergono sulle altre, quella di J.G. Frazer (London, Macmillian, 1929, 5 voll.) e quella di F. Bömer (Heidelberg, C. Winter-Universitätsverlag, 1957-1958, 2 voll.); Metamorphoses, libri da I a XV, a cura di R. Ehwald, Lipsiae 1915, vol. II). Giano, re leggendario e divino, avrebbe dato inizio alla civiltà, istituendo i riti religiosi e favorendo la costruzione di edifici sacri. Sempre secondo la tradizione, avrebbe introdotto l’uso delle navi e anche della moneta. Giano, in effetti, si trova effigiato sul recto delle più antiche monete romane di bronzo, gli assi mentre sul verso si trova l’immagine di una nave . Questo lascerebbe forse supporre che Giano, divinità talmente importante da precedere Giove nei rituali religiosi, fosse considerato come divinità acquatica e, pur essendo generalmente ritenuto un dio prettamente italico, si ipotizzò anche che non fosse autoctono ma, arrivato in Italia via mare, potesse essere ricollegato al dio greco Dioniso, o Bacco, che sembra fosse anticamente raffigurato con due visi e con il quale sarebbe associato per l’uso del vino, passione nota per Bacco, plausibile per Giano che si vuole vissuto nell’antica Enotria (l’attuale Italia) ossia terra del vino. Consideriamo ora la sua famiglia. Per quanto riguarda la famiglia terrena di Giano, nulla sappiamo in proposito; per quanto riguarda invece quella divina sembra che Giano abbia sposato una ninfa di nome Giuturna e dal loro matrimonio sia nato Fons, o Fontus, nume tutelare delle sorgenti, festeggiato durante le fontanalia, feste religiose dell’antica Roma ricorrenti il 13 ottobre. Durante tali feste si gettavano nelle fontane ghirlande di fiori e si offrivano al dio sacrifici di vino, olio, etc. Secondo Festo tale giorno è sacro alle fonti (Festus, Breviarium, a cura di J.W. Eadie, The Athlone Press, London 1967), mentre per Varrone è la festa del dio Fons o Fontus, figlio di Giano e divinità che presiede alle fonti in genere (F. Cavazza, Studio su Varrone etimologico e grammatico. La lingua latina come modello di struttura linguistica, La Nuova Italia, Firenze 1981). Le Agonalia erano invece le feste che, in onore del dio Giano, venivano celebrate il 9 gennaio dal rex sacrorum (il termine agonalia deriverebbe da Agones monti, essendo in origine così chiamati tutti i sacrifici che si celebravano sui monti). Secondo alcune fonti anche Tiberino, divinità fluviale da collegarsi al Tevere, sarebbe stato loro figlio. Un’altra versione, però, vorrebbe Tiberino figlio di Giano e di una naiade, ma il nome di tale ninfa sarebbe Camesena. Re in una remota età dell’oro, sarebbe stato un civilizzatore degli antichi abitanti della regione (gli aborigeni) che, prima di lui, conducevano una vita misera, non conoscevano le leggi, né le città e ignoravano del tutto la coltivazione delle terre. Giano insegnò tutte queste cose agli uomini e accolse inoltre sulla sua terra lo straniero Saturno col quale divise e condivise il regno. La leggenda romana, infatti, arricchita di elementi orientali e ellenici, racconta che Saturno-Crono, dopo essere stato detronizzato dal figlio Giove-Zeus, trovò rifugio in una zona che chiamò Latium (rifugio, dal latino latere, nascondere). Qui fu benignamente accolto dal re del posto, Giano, che divise il regno con il nuovo venuto e al quale concesse di fondare una città tutta sua in cima al Campidoglio: Saturnia. Saturno, in cambio dell’ospitalità regale offertagli, insegnò agli uomini a sfruttare metodicamente la spontanea fertilità della terra e a usare il falcetto e la roncola, utensili coi quali veniva rappresentato. Anche per questo si ricollega il suo nome all’invenzione e alla diffusione della coltivazione delle terre e al taglio della vite (Saturno dal lat. serere, seminare; sata campi seminati). Nel governo di Giano si evidenziano già distintamente tutte quelle caratteristiche che verranno poi definitivamente instaurate da Saturno nella Saturnia Tellus quando il dio resterà l’unico a regnare dopo la morte e la successiva divinizzazione di Giano. Giano rappresenta, dunque, una fase di transizione, quasi una stasi preparatoria al ciclo aureo di Saturno. Interessante è anche notare che il nome greco di Saturno è Kronos, ossia tempo e Giano stesso è, come divinità, strettamente associato al tempo visto che le sue due facce guarderebbero oltre che in due differenti direzioni spaziali, anche in due diverse direzioni temporali, una al passato (vecchia) e una al futuro (giovane). Ma su questo torneremo tra breve. I miti che narrano di Giano esprimono l’idea di un dio apritore, come dimostra anche il suo nome: Giano, da Ianua, porta o Ianus, passaggio. I suoi Templi erano molto semplici essendo costituiti solo da un lungo corridoio con un’entrata e un’uscita(entrare e uscire, nascere e morire, cominciare e finire,e viceversa. «Il Tempio di Giano, forse il più antico, eretto da C. Duilio, al tempo della prima guerra punica nel sito di un sacello precedente, e restaurato da Tiberio nel 17 d. Cr. Era apud forum Holitorium, come dice Tacito (Ann. ii, 49) e extra portam Carmentalem (Festo M.) la quale corrisponde pressapoco con la chiesa di S. Galla sulla via di Bocca della Verità».Tale tempio sembra essere stato identificato con il più antico dei tre templi che si trovano sotto la chiesa di S. Nicola in Carcere. Infatti, pur non essendo tale tempio costituito da un semplice corridoio con un’entrata e un’uscita «il gruppo dei tre templi del Foro Olitorio si presenta così serrato ed organico che si deve riferire a tre divinità molto antiche: per questa ragione si preferisce di riconoscere nel più grande, centrale, il tempio di Giunone, e nei due laterali i templi di Giano e della Speranza». (G. Lugli, op. cit., p. 365Dio di ogni inizio, Giano era invocato per primo in ogni rito, cerimonia o impresa. Vigilava sulla nascita di ogni essere, mortale o divino che fosse, per cui era anche Ianus Consivius: dio della procreazione, dio degli dei, padre di Dio di ogni inizio, Giano era invocato per primo in ogni rito, cerimonia o impresa. Vigilava sulla nascita di ogni essere, mortale o divino che fosse, per cui era anche Ianus Consivius: dio della procreazione, dio degli dei, padre di tutta l’umanità. Giano, quindi, Dio del principio e della fine di tutte le cose, presiedeva a tutti gli inizi e ai passaggi, sia nello spazio che nel tempo, e per questo fu oggetto di un culto diffuso e popolare con vasti campi d’azione, anche a carattere magico. Dio delle transizioni, posto a tutela dei momenti di passaggio (matrimoni, nascite, semine e raccolti), delle porte, dei passaggi, Giano segna l’evoluzione dal tempo andato all’avvenire, da uno stato e da una visione all’altra, da un universo all’altro. Interviene all’inizio di ogni impresa. La “porta” è il passaggio fra il conosciuto e l’incognito, fra la luce e le tenebre. A Roma, un grande arco quadrifronte, da identificare con l’Arcus Divi Constantini, è tuttora conosciuto come arco di Giano. Si tratta di un arco onorario e il riferimento a Giano non è casuale visto che il dio bifronte regnava, secondo la religione romana, su ogni luogo di passaggio. Il passaggio rituale sotto uno ianus, ossia un passaggio coperto, o una porta, aveva la funzione di purificare, come avveniva per le truppe e per le armi durante alcune cerimonie evocatrici. Inoltre, perché fosse di buon augurio, in occasione delle celebrazioni d’inizio anno, venivano consumati nelle case romane cibi dolci, sul cui significato il poeta Ovidio interroga lo stesso Giano, così pure come sul perché di altre usanze: «Che cosa voglion dire i datteri e i fichi rugosi / e il puro miele offerto dentro candido vaso? / Si fa per buon augurio disse (Giano) perché nelle cose / passi il sapore; e l'anno, qual cominciò, sia dolce. / Comprendo il perché dei dolci: ma spiegami la ragione del dono in monete, / affinché nulla della tua festa mi sfugga. / Rise e disse: Oh quanto ti inganni sui tuoi tempi, / se pensi che ricever miele sia più gradito che ricever monete! / Già, regnando Saturno, ben pochi io vedevo a cui non stesse a cuore la / dolcezza del guadagno; col tempo crebbe l’avidità del possedere, e ora / è arrivata a tal punto che più non potrebbe aumentare». [Ovidio, Fasti, Libro i, vv. 185-196]. Riportiamo quindi la traduzione libera di un brano tratto da I Fasti in cui Giano stesso descrive e spiega ciò di cui abbiamo appena parlato: « E di quale essenza io dirò che è la tua divinità, o Giano biforme, dal momento che la Grecia non venera alcun nume a te uguale? Spiegami pure il motivo per cui a te solo, fra i Celesti tutti, è dato poter vedere tutto ciò che ti sta dietro e tutto ciò che ti sta davanti. Mentre in sulle carte io mi arrovellavo la mente per darmi una spiegazione di ciò, ecco che la casa mi apparve più spendente di prima. Allora il divino Giano apparve meraviglioso nella sua doppia immagine e ai miei occhi scoprì improvvisamente i suoi due volti. Mi spaventai e sentii che per il forte tremore i capelli mi si rizzarono sul capo e il sangue si agghiacciò nelle vene. Egli, tenendo nella mano destra un bastone e nella sinistra una chiave, con la bocca anteriore rivolse a me queste parole: Non temere, o ingegnoso cantore dei giorni, e saprai quello che tanto desideri; scolpisci bene nella tua mente quello che io ti dirò. Gli antichi mi chiamarono Caos imperocchè io sono una esistenza antica. Rifletti bene come io vado a te annunziando cose di tempi assai remoti. Questo aere terso e quegl’altri tre elementi, cioè il fuoco, l’acqua e la terra, costituivano un solo tutto ben compatto. Non appena quest’ultima, per la forte discordanza degli altri elementi, si scompaginò, quella massa, disciolta, si diresse in varie sedi: l’etere volò verso l’alto, l’aria occupò lo spazio più vicino al suolo, e la terra con l’acqua si scelsero il vuoto centrale. Allora io, che fino a quell’istante ero stato una agglomerazione e un ammasso privo di forma, ripresi l’aspetto e la figura che ben si addicono a un dio. Ma pure ora, come piccolo indizio di quell’antica confusa figura di un tempo passato, sono raffigurato con doppio aspetto davanti e di dietro. Ma dal momento che ne hai tanto desiderio, conosci pure un’altra ragione di questa mia forma e con essa tutto il mio potere Tutto ciò che tu ti vedi attorno, il cielo, il mare, le nubi, le terre, tutto è dalla mia mano chiuso e aperto a piacere. Io ho la padronanza dell’intero immenso mondo, a me solo è dato di sconvolgerne i cardini. Quando mi piace di concedere alla Pace di uscire dalla tranquilla dimora, essa serenamente cammina per le vie non contrastate, e tutto quanto il mondo sarebbe sconvolto dalle stragi e dalla morte qualora rigide sbarre non tenessero rinchiuse nei loro antri le terribili guerre. Con le gentili Ore sto a guardia delle porte del Cielo: Giove stesso, per opera mia, esce e rientra. Per questo sono chiamato Giano (Ianus, da janua, detto janitor coeli = il portinaio del Cielo, come Cerbero è detto janitor inferorum n.d.t.). Allorquando il sacerdote sopra l’altare mi offre la focaccia di Cerere e il farro mescolato col sale, tu non potrai fare a meno di ridere per gli appellativi che egli mi va attribuendo: pensa che sono dalla bocca del sacerdote, che fa i sacrifici, chiamato ora Patulcio e ora Clusio. Ecco come ha saputo con nome diverso la rozzezza antica intelligentemente indicare le mie mansioni diverse. Tutta la mia potenza ti è stata fin qui espressa. Ora desidero che tu conosca il motivo della mia figura, che già in parte bene conosci. Ogni porta ha due facciate, l’una rivolta da una parte e l’altra dall’altra, di cui una guarda verso l’esterno e quell’altra verso l’interno. Come il portinaio di voi mortali se ne sta seduto presso la porta di casa e osserva chi va e chi viene, così io , custode della reggia celeste, vedo egualmente i lidi orientali e quelli occidentali. Tu ben sai che Ecate ha le facce rivolte in tre differenti parti per proteggere i crocicchi divisi in tre strade; nello stesso modo io, per non perdere neppure un mezzo minuto piegando il collo, posso guardare, senza muovermi, dall’una all’altra parte. Così egli aveva parlato; ma io avevo già capito dai suoi occhi che se avessi voluto conoscere qualche altra cosa, egli non si sarebbe per niente rifiutato a parlarmi. Lasciai ogni senso di soggezione e dopo averlo liberamente ringraziato delle notizie fornitemi, con gli occhi rivolti a terra, rispettosamente dissi queste poche parole: Spiegami, per favore, perché il nuovo anno incomincia con il freddo intenso, mentre sarebbe molto meglio che si iniziasse con la primavera. In quella stagione ogni cosa rifiorisce; allora sembra che il tempo si rinnovelli: la nuova gemma sul tralcio gonfio di umore si schiude, l’albero si riveste di novelle frondi, il germoglio dei nuovi semi che fanno capolino a fior di terra spunta alla tiepida carezza del sole. Allora gli uccelli diffondono per l’aria tiepida i loro gorgheggi accarezzevoli e il gregge per i pascoli folleggia e fa all’amore. I giorni in quella stagione passano sereni e la pellegrina rondinella ritorna di lontano e sotto il tetto alto della nota casa costruisce ingegnosamente il nido col fango: allora il campo, rimosso dall’aratro, è ben coltivato e pronto ai nuovi frutti. Questo a mio parere, doveva essere detto il principio bello dell’anno. Io mi ero nella domanda un po’ troppo dilungato; egli invece fu breve e in poche parole rispose: Nell’inverno il sole completa la sua annuale marcia e dall’inverno riprende la nuova: così il Sole e l’anno hanno insieme lo stesso inizio Ma perché la tua statua in tempo di pace sta chiusa alla vista, mentre si vede quando vengono afferrate le armi? Alla mia domanda egli subito così rispose: Io levo i chiavistelli alla porta e la spalanco, perché sia aperta la via del ritorno al popolo partito per la guerra. Durante la pace io chiudo le porte, affinché la pace stessa non possa più uscire.

GIANO (DIANO) - GIANA (DIANA)

Secondo Frazer nel libro "Il ramo d'oro" Giano e Diana (Diano e Giana) sono, per gli italici, la coppia divina , nota anche ai greci come Zeus e Dione (Giove e Giunone) come sosteneva anche S. Agostino. Diana era venerata soprattutto nelle selve e nei luoghi incolti ed a lei è legato l'antichissimo mito del ramo d'oro. Secondo questo mito in un bosco di querce situato nei pressi del lago di Nemi cresceva un albero che produceva del vischio.
Qualsiasi schiavo fuggitivo fosse riuscito a raggiungere questo albero e a cogliere il "ramo d'oro" acquisiva il diritto di sfidare in combattimento il sacerdote di Diana: se poi riusciva ad ucciderlo diveniva, al suo posto, il re del bosco, il "rex nemorensis", solo però fin quando un altro non fosse riuscito a strappare un ramo d'oro dalla quercia sacra a Diana.

GIANO IN AFRICA - il popolo lobi e la sua arte

I Lobi vivono in una regione dell'Africa Occidentale, a cavallo fra tre paesi: il Burkina Faso, la Costa d'Avorio e il Ghana. La popolazione, circa 250.000 abitanti, vive in maggioranza nel Burkina. La storia e i racconti mitici dei Lobi li fanno apparire come eterni nomadi.

Recensione: "Medici e stregoni" di Tobie Nathan e Isabelle Stengers

La divinazione non ha lo scopo di illuminare un visibile nascosto, quanto piuttosto di instaurare il luogo stesso dell'invisibile. Se si procede ad una divinazione, la tecnica utilizzata presuppone sempre l'esistenza di un secondo universo. Questo universo è popolato da esseri non umani coi quali soltanto poche categorie di persone possono avere contatto: i bambini, i pazzi e i guaritori.
Questi ultimi, nella cultura africana, vengono definiti come persone particolari:


con "quattro occhi"
a cui "sono stati aperti gli occhi" (è stato iniziato)
che "nato vecchio"
che è "nato con la camicia"
che è nato con qualche particolarità fisica.

Glossario — Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici della Campania

Argo - Geografia: antichissima città greca del Peloponneso nordorientale, assediata da Pirro, che qui trovò la morte nel 272 a.C., passò poi sotto il dominio di Roma nel 146 a.C.
Mitologia: nella mitologia greca nome di vari eroi, uno dei quali, figlio di Zeus e di Niobe, ottenne il potere di re sul Peloponneso a cui diede il nome. l’Argo più noto è, però, il pronipote del precedente dotato di uno o, secondo altri, di quattro occhi, ma non mancano versioni che gli attribuiscono un’infinità di occhi. Provvisto di una forza prodigiosa liberò l’Arcadia da un toro che devastava il paese e da un Satiro che rapiva le mandrie degli Arcadi. Uccise, inoltre, Echidna, figlia del Tartaro e di Gea che s’impadroniva dei passanti. Era lo incaricò di custodire Io, trasformata in vacca, di cui era gelosa. Argo, infatti, grazie ai suoi occhi poteva sorvegliarla continuamente, perchè una parte di questi restava aperta anche mentre dormiva; venne però ucciso da Ermes su ordine di Zeus. Era, allora, trasportò i suoi occhi sulla coda del pavone, uccello a lei sacro. Argo nella mitologia greca è anche il nome della nave impiegata da Giasone per riconquistare il vello d'oro.

L'APOLLO DEI LACEDEMONI (SPARTANI) HA QUATTRO OCCHI E QUATTRO MANI.

ALLE RADICI DEL BIFRONTISMO


Tra tutte le divinità venerate nelle regioni Italiche, Giano Bifronte merita un discorso a parte. Da sempre nella scienza coesistono coppie antitetiche di due o più sistemi o atteggiamenti . Uno dei primi, a nostra conoscenza, a teorizzare su questo fu Pitàgora, figura misteriosa di scienziato greco, che, secondo Diogene Laerzio "per primo ... usò il termine filosofia e per primo si chiamò filosofo; nessuno è infatti saggio, eccetto la divinità". Pitàgora e la sua scuola avevano individuato dieci coppie di opposti fondamentali:1) limitato, illimitato. 2) dispari, pari. 3) unità, molteplicità. 4) destra, sinistra. 5) maschio, femmina. 6) quiete, movimento. 7) retta, curva. 8) luce, tenebre. 9) bene, male. 10) quadrato, rettangolo. Questi opposti fossero conciliati nel mondo da un principio di armonia. Per Pitàgora, il numero rappresenta la realtà, principio della natura e della sua comprensibilità per l'uomo. Galileo diceva che il mondo era scritto in caratteri matematici, agevolati dalla ragione. Dal V secolo avanti Cristo, facciamo ora un balzo ai giorni nostri. Gerald Holton, professore di Fisica e di Storia della Scienza, in anni recenti ha mostrato come , sia importante rendersi conto che nuove intuizioni nel campo della storia e della filosofia e della scienza sia alla base dell'immaginazione dell'uomo di scienza. Holton afferma che "è sempre esistita un'altra coppia di antìtesi o polarità...e precisamente , da una parte, lo sforzo verso la precisione e la misurazione ( archimede e in seguito galileo )con una visione "obiettiva" di quegli elementi qualitativi che interferiscono con il raggiungimento di un ragionevole accordo "obiettivo" tra i ricercatori, e, dall'altra, le intuizioni, le fantasie, i sogni ad occhi aperti, del pensiero Artistico che influenza metà del mondo della scienza sotto forma di attività personale, privata, e "soggettiva". La scienza è sempre stata spinta e rimbalzata tra queste forze contrarie e antitetiche. Il concetto di Bifrontismo appare esemplare del concetto di coppia antitetica , potendo anzi illuminarci sulla sua origine. Attualmente, esso ha un uso allargato rispetto al passato, e permea la nostra cultura in molti settori: filosofico-esistenziale, musicale, stilistico, religioso, politico, economico, ecc. Vediamone qualche aspetto più da vicino. In poesia, lo ritroviamo tra le figure retoriche, quali la metalepsi ( nome greco che vuol dire sostituzione, scambio), e il palìndromo (parola o frase che si può leggere egualmente nei due sensi, come mostra il perfetto "quadrato magico" , di Pompei , contenente la frase palindroma : "Sator arepo tenet opera rotas","Il seminatore, col suo aratro, tiene con cura le ruote", poi riferita al dio supremo che regge con saggezza l'universo , che si poteva leggere in verticale ed orizzontale, da destra a sinistra e viceversa, tanto da essere considerata nel tempo magicamente dotata di straordinari poteri). Nel Chiasmo, che prende il nome dalla lettera, "chi", dell'alfabeto greco, si ha appunto una forma a croce, dato che gli elementi si dispongono in corrispondenza inversa, per cui ciò che è in alto a destra corrisponde a ciò che è in basso a sinistra e viceversa. Bifrontismo come coppia di opposti è un concetto apparentato con quello di simmetria, cioè perfettamente eguali. Nella Grecia classica, e nell'Arte Etrusca la scultura, cerca la perfetta, simmetria di proporzioni delle parti opposte del corpo umano, era alla base della disposizione tipica delle opere di Policleto., in cui il Canone individuava in tale equilibrio il supremo ideale di bellezza ed armonia. Le proprietà matematiche della simmetria sono state studiate in tempi più recenti dagli psicologi della percezione , che mira ad approfondire la maniera in cui si organizza il mondo fenomenico di ogni persona, indagando le modalità con cui l'individuo entra immediatamente in rapporto conoscitivo con l'ambiente in cui vive, a cominciare dalla percezione visiva , per poi estendersi a tutti gli altri sensi ( vedi Koffka, 1970; Vernon,1964). Alla psicologia della percezione, partendo dalla constatazione che dalla simmetria deriva un vissuto di tranquillità; è probabile che da questo derivi l'importanza della simmetria, soprattutto nel campo delle arti. Limitandoci ora al campo delle arti visive, proviamo a rifare succintamente qualche percorso , collegato al concetto di bifrontismo, per esempio in riferimento alla rappresentazione della divinità. Cominciamo con una importante civiltà del passato, che fece nelle arti visive un grande uso del bifrontismo, e cioè i Sumeri. Il bifrontismo è frequente nelle raffigurazioni delle sue tavolette e dei cilindri, un esempio per tutti: un'immagine bifronte, quella di Isimud, ministro della trìade di divinità An, En-lil, En-ki.
Spostiamoci nel tempo e nello spazio, presso un'altra grande civiltà, quella dei Greci. C'è un personaggio della mitologia greca, Argo ,denominato anche Argus Panoptes ( cioè "che vede ogni cosa"), che viene raffigurato come un cane dai cento occhi , che chiudeva solo a metà. quando dormiva. Alla sua morte, per mano di Hermes, fu trasformato da Hera nella coda del pavone.
Tra tutte le divinità venerate nelle regioni Italiche, il più rappresentativo è sicuramente il Romano Janus (Giano), unico Dio della Conoscenza (Julius Evola) e alla base di tutte le Corporazioni ,sia Eso che Exoteriche il cui culto nasce dalla constatazione dell'eterno passaggio da uno stato all'altro. Per questo i suoi templi erano semplicissimi:un lungo corridoio, con un'entrata e un'uscita, entrare e uscire, cominciare e finire, nascere e morire, gli eterni corsi e ricorsi. La leggenda dice anche che Janus, o Giano, di origine divina, avrebbe regnato sul Lazio, istituendo per primo i riti religiosi e dando inizio alla costruzione dei templi. Di conseguenza, era il patrono dei Collegia Opificum e Fabrorum, istituiti sotto il regno di Numa e in suo onore le corporazioni degli artigiani romani celebravano le due feste solstiziali, essendo protettore di ogni inizio e iniziatore della civiltà . L'allegoria della doppia faccia e della doppia fronte è stata interpretata in vari modi. Viene collegato al dono della scienza del passato e del futuro, fattogli da Saturno, da lui ospitato durante la persecuzione da parte di Giove. Secondo altre interpretazioni, dato che il mese di gennaio (Januarius) prende nome da Janus e a lui è dedicato, la doppia fronte che connota le erme del dio simboleggerebbe la visione dell'anno trascorso e di quello che sta iniziando. Da questo all'essere il custode delle porte (Iànitor , da ianus, in latino porta) e di ogni passaggio , quindi di ogni inizio ( anno, mese, giorno, comunque qualsiasi incipit) il passo è breve. In quanto divinità solare, Giano aveva il controllo delle Porte del Cielo (Januae caelestis aulae) aperte all'alba ( Oriente) e chiuse al tramonto (Occidente) dal Sole che vi transitava col suo carro splendente, così come all'inizio e alla fine dell'anno solare.Le sue due facce rappresentano quindi le due porte dei cieli, i punti in cui il sole sorge e tramonta. Era pure simbolo dell'aprire e chiudere ogni anno le Porte Solstiziali , attraversando le quali il Sole inizia i suoi percorsi ascendente e discendente.In certe rappresentazioni Janus ha un volto virile, con la barba, e un volto femmineo, probabilmente in rapporto al significato simbolico di Sole e Luna espresso dalla coppia Janus-Jana o Diano-Diana. La radice del suo nome allude al concetto di passaggio, come il verbo latino ire (andare), il gaelico ya-tu (guado) e il sanscrito yana (porta). Originariamente, nelle raffigurazioni storiche (sculture e monete), delle due facce di Giano, una era barbuta e l'altra no, E rappresentava anche il simbolo di sole e luna. Quanto allo spazio, Giano era presente sulle soglie delle case, presso le porte, così come vegliava sul colle esterno alle antiche mura Serviane, il Gianicolo, che fungeva simbolicamente da porta della città verso l’esterno. La tradizione romana fa di lui un mitico re italico, edificatore di una città, proprio sul colle che da lui prese il nome di Gianicolo, il Monte àureo dei Romani, che vi immaginavano favolosi giacimenti di sabbie aurìfere. Secondo la tradizione quello fu anche il luogo dove fu crocefisso san Pietro e per questo vi è stata edificata una chiesa dedicata a tale santo. Forse tutto questo per contrapporre a Giano, dio delle porte a cui il colle, era dedicato. Pietro, colui che ha in consegna le chiavi della Chiesa universale; sembrerebbe addirittura che, alla fine del primo secolo, Giano il dio delle porte si era in parte fuso con san Pietro. Inoltre, l’area Vaticana, su cui la stessa Basilica di san Pietro è stata eretta, fu un’area sacra fin dai tempi preistorici, nonostante il fatto che «Originariamente il Campus Vaticanus si estendeva in quella bassura compresa fra il monte Gianicolo e il Tèvere che Tacito appellava Infàmibus Vaticani locis per le putrescenti acque freatiche che vi stàgnano (Marrana). G. Di Nardo, Il ritrovamento della tomba di San Pietro, «Antologia di letture interessanti», Tale località, afferma Gellio [lib. xiv], fu chiamata Campo Vaticano dal dio preposto ai vaticini. Varrone identificò questo dio con Ajo, ossia il Dio Primo. In epoca più tarda, presso i Celti, troviamo una doppia testa in calcare del III secolo avanti Cristo. Nel secondo secolo avanti Cristo, sulle monete, verrà raffigurato con 4 facce, Plinio il Vecchio( 23-79 dopo Cristo)lo rappresenta come un dio solare a due facce . Macrobio ( IV secolo dopo Cristo) nei Saturnalia dice che Gennaio (Januarius) è dedicato a Giano, dio con due facce in quanto fuso con Artemide (Jana, cioè Diana, corrispondente a Diana Trìvia e ad Ecate triforme), cioè raffigurazione di sole e luna (chiamata infatti da Varrone (116-27 avanti Cristo),Iana Luna. Varrone sostiene che Janus era il dio del cielo, praticamente identificato con Juppiter ).Macrobio ricorda poi che il dio è il guardiano della terra e delle strade, come Diana Trìvia è la guardiana dei crocicchi. Janus o Dianus, come rammentato anche da Frazer (nel Ramo d'Oro del 1910), non ha origine da Jupiter il cui doppio non esiste. Janus sarebbe il doppio di Jana (come Dianus di Diana), derivando i loro nomi dalla medesima radice DI, che significa risplendente di luce. Cicerone (106-43 avanti Cristo) nel De Natura Deorum, ricorda che Janus era chiamato Eàunus, da eundo, ( gerundio di ire, che in latino significa andare, quindi "andando", perché Giano è sempre in movimento, proprio come il fenicio serpente Uroboro. Il serpente che si morde la coda, simbolo di eterno ritorno degli stadi dell'esistenza). Le due facce, barbuta-anziano e imberbe-giovane, alluderebbero anche al suo presiedere lo scorrere del tempo. La duplice faccia di Janus si sarebbe poi prestata ad essere una allusione alla concezione platonica dell'anima umana: nel volto giovane si potrebbe vedere l'aspetto divino dell'anima, attratta verso la divinità e splendente di celeste bellezza; in quello vecchio, si vedrebbe la caducità delle vicende umane e terrene , soggette al divenire, e di conseguenza destinate ad involuzione. Tuttavia, le rappresentazioni più antiche del bifrontismo risalgono al Paleolitico. L'attribuzione si deve a Pietro Gaietto (1974) che nel descrivere l'arte del Paleolitico, la collega alle religioni del tempo, considerandola strumento per culti e riti. Come nel caso di Libera e Libero, Libera è sicuramente la divinità Italica più antica. Connettendola alle successive rappresentazioni artistiche dei popoli post-paleolitici e storici, quali i Babilonesi, i Fènici, i Traci, i Celti, i Galli, gli Egizi, i Greci, i Romani, ecc., ricche di raffigurazioni di divinità con due o più teste, con uno o più occhi, esseri dalle fattezze umane con teste o parti del corpo di animali. Gaietto considera il bifrontismo di Giano come un vedere da ogni parte, cioè l'onniveggenza propria degli esseri solari. Lo studioso precisa che uno studio sulle religioni collegabili alla scultura antropomorfa del Paleolitico deve necessariamente fare dei parallelismi con le religioni storiche che avevano un'arte con tipologia simile, come il Giano bifronte. Secondo il mio punto di vista, il bifrontismo si manifesta fin dai primordi come raffigurazione visiva, nello stesso tempo constatazione e celebrazione di coppie di opposti, a cominciare dal duplice aspetto di fatti naturali ( vita-morte, maschio-femmina, giorno-notte, sole-luna, benefico-nocivo, bagnato-asciutto ecc), individuato e celebrato attraverso le raffigurazioni in scultura. La "doppia faccia"si è poi perpetuata nei tempi, come tipo ben preciso di raffigurazione, codificato nell'aspetto iconografico, ma pronto con estrema elasticità ad accogliere -come contenitore- le proiezioni di ogni tempo, ideologia e cultura, con una particolare enfasi per quanto riguarda i fatti che hanno a che fare col divino, in quanto la duplicità è comunque inquietante, e riecheggia poteri soprannaturali. Va ancora ricordato come l'origine del bifrontismo, oltre ad essere stata presumibilmente suscitata dalle numerose coppie di opposti che la natura incessantemente propone e mostra, vada pure ricondotta a meccanismi intrapsichici di splitting che, in misura non eccessiva e adeguata alla fase, si riscontrano nel normale processo di sviluppo dell'essere umano. Ci si riferisce precisamente a quella che Melanie Klein (1952) ha individuato come fase schizo-paranoide nello sviluppo del bambino, in corrispondenza con la percezione di oggetti parziali , verso i 3-4 mesi di vita (vedi Klein, 1921-1924 , per la definizione di oggetti interni). Otto Rank, nella sua opera Il doppio, collega il doppio all'emergere delle più profonde angosce di distruzione dell'Io, quindi in connessione con la morte; nell'improvviso pararsi innanzi a noi di un sosia (il nostro "doppio"), il rimosso riemerge con violenza,superando gli sbarramenti della censura, e l'Io viene sopraffatto dall'angoscia. Il duplice, quindi, è legato a qualcosa che ci sopraffà, come si diceva , e questa intuizione di Rank rafforza l'ipotesi precedentemente indicata, secondo cui i nostri più antichi progenitori hanno identificato la duplicità con l'inqiuetante, di conseguenza col soprannaturale, quindi con lo spirituale, e poi, presumibilmente, con l'immagine di una divinità. Freud riprenderà il concetto del doppio di Rank nel suo saggio sul Perturbante, heimlich, o, unheimlich , contrapposizione tra quanto ci è familiare e quanto ci è estraneo. Pertanto si può parlare di una compressione dei tempi storici, molto simile all’accorciarsi dei tempi necessari per comunicare con ogni parte del mondo, quindi come un aspetto dell’evoluzione culturale verso il "presente allargato" che avanza con il tempo reale dei mezzi di informazione planetari. Indubbiamente si tratta dello sviluppo di un nuovo livello di coscienza tempo-spaziale,Nella Bibbia Mille anni sono per Te come un giorno; mentre nei testi vedici dell'India sono perfino 4 bilioni di anni, ciò che trascorre tra la creazione e la distruzione dell’universo, che corrisponde ad un giorno di Brahma (Brahama Kalpa). Dunque, concettualmente la relatività della percezione temporale non è affatto nuova, quello che è inedito è l’odierno sostegno tecnologico per una concreta estensione conoscitiva nello spazio e nel tempo. Come per esempio, lo scioglimento dei ghiacciai, causato dal riscaldamento atmosferico appare come ultima fase dell'era glaciale, che ebbe inizio 10 mila anni fa con il sorgere dell'attuale era solare; come la contemporanea distruzione delle ultime comunità arcaiche rappresenta la fine della forma sociale che fu in vigore durante questa era glaciale, mentre la sua distruzione iniziò con l'invenzione storica del sistema città-stato che gradualmente venne a dominare il mondo. È con questa stessa prospettiva spazio-temporale della Visione Globale che si compone l'immagine dinamica dell'umanità, raccogliendo l’eredità selezionata del passato, per dipingere l'affresco virtuale che ritrae l'avvento del "uomo planetario" e del suo habitat rinnovato a misura dell'uomo e della natura. Anche questa ampia immagine temporale non è nuova in se, infatti, ha degli antecedenti nel rinascimentale ciclo pittorico della storia del mondo. Ai giorni nostri, nelle nostre culture, la figura bifronte continua ad esercitare un suo fascino, anche nelle arti visive. Un esempio per tutti, e proprio da una località così lontana da quelle in cui in passato si è sviluppata massimamente la cultura del bifronte: a Clyde River (isola di Baffin), gli scultori rappresentanti della scultura artica dell'Inuit attualmente usano vertebre di balena per raffigurare Giano a due facce, e questo è anche considerato un modo di utilizzare forme naturali. Si ritorna quindi da così lontano alle origini, e il cerchio si chiude...


CORRIERE DELLA SERA 6 APRILE 2008

India, nata una bimba con due facce

Nel paesino a 50 km dalla capitale Delhi la gente le rende onori e la considera una reincarnazione di Ganesh.
NOIDA (India) - In un piccolo villaggio rurale nell'India settentrionale è nata una bambina con due facce: la piccola ha quattro occhi, due nasi e due bocche. Centinaia di persone hanno iniziato a visitare il paesino Saifi a circa 50 chilometri da Nuova Delhi per rendere culto alla neonata affetta da malformazione, che ora viene vista come un'incarnazione divina. I genitori della piccola, tuttavia, hanno finora rifiutato qualsiasi analisi medica. E la sua storia sta già facendo il giro del mondo.


LETTERA Q-OCCHIO
Le misteriose origini dei re del Graal
di Laurence Gardner

Il segno di Caino è il più amico stemma di cui si è a conoscenza nella storia della sovranità.


Secondo la tradizione della Midrash e la tradizione fenicia, il segno di Caino consisterebbe in una croce racchiusa in un cerchio. In teoria, si trattava di una rappresentazione grafica del regno, che gli Ebrei chiamavano Malkhut ("Regno", dalla parola accadica malku, che significa "Sovrano"). Questo era un'eredità di Tiàmat, la Regina Dragone, e grande matriarca della linea di sangue del Graal. Nella tradizione celtica, il simbolo grafico della croce racchiusa nel cerchio indicava le "cinque divisioni", che comprendevano quattro sottoregni con il palazzo principale al centro. Secondo la storia della Corte Imperiale e Reale del Dragone, un'antica fratellanza con origini egiziane risalente al 2170 a.C. circa, il cerchio esterno del segno di Caino simboleggiava un serpente-drago che tiene stretta con la bocca la propria coda: un simbolo di completezza e sapienza noto come uroboros. In rappresentazioni più recenti, appare esattamente con questa forma. La croce (chiamata rosi-crucis, parola greco-romana, da rosi che significa rugiada o acque, e crucis che significa coppa o calice) è un simbolo di illuminazione, e per questo motivo la sacra Rosi-crucis (la Coppa della Rugiada, o Coppa delle Acque) era il segno originale della linea di discendenza reale. La coppa simboleggiava a sua volta l'utero, rappresentando l'aspetto materno della regalità, da cui sgorgava il Sangue Reale (le acque della illuminazione). Si ritenne, perciò, che ciascun re della Mesopotamia fosse sposato con la Dea Madre e, come affermato dall'assiriologo di Oxford, Stephen Langdon, a questo proposito erano effettivamente celebrate delle cerimonie. Nel suo aspetto femminile, il segno di Caino divenne il simbolo di Venere con la cruce fuori dal cerchio, così che la donna (la
croce) fosse sormontata dall'Uroboro, simbolo della regalità del dragone. Con la croce posta sopra al cerchio, invece, la rappresentazione è quella dalla sfera delle insegne regie. Sulla scia della tradizione per cui le insegne regie hanno un significato simbolico, la sfera (globo) è espressione di completezza, rappresentando tutte le cose riunite all'interno del globo. Essa è inoltre associata all'occhio simbolico di "colui che vede tutto", l'occhio di Enki chiamato anche "Signore dell'occhio sacro". Poiché la regalità era considerata ereditaria per parte di madre, a partire da Tiamat, e Lilith, il nome Qayin (Kain da cui "King" che significa "rè") era anche direttamente associato al termine "Queen", che significa "regina". Sebbene il termine ayin sia associato all' occhio che tutto vede, gli alchimisti, che collegano il suo mistero con il cervelletto, la parte posteriore del cervello, lo hanno più correttamente associato alla "oscurità" (o al non-essere). L'aspetto "onniveggente" è quello di colui che percepisce la luce al di là dell'oscurità. La stessa parola alchimia deriva dall'arabo "al" ("la") e dall'egiziano khame,("oscurità"). Per cui al-khame è la scienza che sconfigge l'oscurità, o che illumina per mezzo della percezione.
La lettera -Q-, la stessa di Qayin (Q'ayn) e Queen (-regina-), nella metafisica è attribuita alla luna e la "khu" (Q) era considerata l' essenza femminile mensile (lunare) della dea. Il mestruo (menstruum) divino costituiva la forza vitale più pura e potente, ed era venerato come "Fuoco stellare". La sua rappresentazione era l'occhio onniveggente il cui simbolo ermetico era un cerchio con un punto al centro, il kamakala dei mistici indiani ed il "tribindu" della scuola orientale.
La lettera "Q" deriva dal simbolo di Venere "Q" un simbolo allo stesso tempo attribuito a Iside, Ninhursag, Lilith e Kali tutte rinenute "nere ma belle" ( Cantico dei Cantici 1,5). Sia Lilith che Kali erano titoli, con Kali, che deriva da Kala (il periodo del ciclo lunare femminile), mentre Ninhursag era la prima Signora della vita. Suo era il gene che costituì il vero e proprio inizio della linea di discendenza sacra: la Genesi dei re del Graal. Nella tradizione dei rosacroce, questa "genesi" è stata a lungo identificata con il trascendente "gene di Iside". La parola "genesi" (origine o inizio) deriva dal greco e dalla parola "genes" (che significa "generato da una specie"), da cui derivano anche le parole genetica, genere, genio, genitale, genere, generazione, genealogia, etc. In alternativa, l'occhio dell'illuminazione era a volte rappresentato all'interno di un triangolo (triangolo con un punto al centro) che rappresenta il daleth, o la via di accesso alla luce. Qayin (Caino/Kain) è spesso stato chiamato "il primo signor Smith" perché il termine Qayin significa anche "smith" (fabbro), come nel caso del fabbro che lavora il metallo, o più precisamente del fabbro forgiatore di spade, una abilità (o kenning, che significa conoscenza) richiesta agli antichi re. Da questo punto di vista, il nome che gli viene dato nella Genesi, così come quello di Hevel (Abele) e di molti altri nella Bibbia, è un appellativo che ne descrive un aspetto piuttosto che un nome proprio. Nella tradizione alchimistica egli era un Qayin, un artigiano dei metalli del grado più elevato, come lo erano i suoi discendenti, in particolar modo Tubalcain (Genesi 4,22) venerato nei circoli scientifici della Massoneria. Tubalcain era il grande Vulcano dell'epoca, il possessore della teoria plutonica (la conoscenza dei movimenti del calore interno), ed era un notevole alchimista. L'eredità di Caino era quella degli esperti in metallurgia sumeri, i Maestri artigiani che abbiamo incontrato alla corte di El Elyon, ed il supremo Maestro dell'Arte (artigiano) era il padre di Qayin Enki, descritto come "la manifestazione della conoscenza e l'artigiano per eccellenza che caccia via i demoni maligni che attaccano l'umanità". Le attività alchimistiche di questa famiglia avevano una grandissima importanza per la loro storia e nella loro competenza nell'arte risiede la chiave per il misterioso "pane della vita" e "manna nascosta" della Bibbia. Quindi, se il vero nome dell'uomo non era Qayin, allora qual' era? Nella storia sumera se ne parla come di Ar-wi-um, re di Kish, il Figlio di Mazda e successore del re Atabba (l'Adama). Con gli altri nomi con i quali veniva chiamato, cioè Masda e Mazdao, Enki (attraverso suo figlio Ar-wi-um il Qayin) era il progenitore del maestro spirituale dei magi, Zarathushtra (Zoroastro). Il nome Masda (da Mas-en-da) significa "uno che si prostra (come un serpente)", ed il nome sumerico Ar-wi-um è collegato alla parola ebraica awwin con la quale sono indicati i "serpenti". Nella tradizione persiana Enki era Ahura Mazda, il Dio della vita e della luce, chiamato anche Ormazd (o Ormuzd), che significa "Serpente, della notte", mentre in questo contesto Mazda significa anche "Signore" (Ahura Mazda significa. infatti, "Signore saggio"). Nella tradizione ariana della Persia era Ormazd ad aver creato per primo l'Uomo virtuoso, cosi come si diceva che Enki avesse fatto in Sumer. Per quanto riguarda l'identità della moglie di Qayin (Genesi 4,17-24), il suo nome era Luluwa (Perla: un gioiello solare). In alcune opere cristiane si afferma che Luluwa era la figlia di Eva, sebbene nella Bibbia non venga mai chiamata per nome. Luluwa (piu correttamente Luluwa-Lilith) era la figlia di Lilith, e nella tradizione del Talmud, Lilith era la prima consorte di Adamo, prima di Eva". Come si sostiene nei documenti sumerici, Lilith era la nipote di EnIil-El Elyon, essendo la figlia di suo figlio Nergal (Meslataea), Re degli inferi. Sua madre era la cugina di Nergal, Min -Ereshkigal, e Lilith era l'ancella della zia materna, la regina Inanna (Ishtar). Lilith era di pura razza Anunnaki e pur essendo la compagna designata per breve tempo di Adamo, l'ebraico Talmud spiega che essa si rifiutò di essere sessualmente la sua compagna. Da questo punto di vista, il suo compagno era Enki il padre della moglie di Caino, Luluwa. Il fratello di Enlil, Enki, (nella sua veste di serpente) era chiamato Samaele, e riguardo a questo, la letteratura della Ha Qabala ci riporta al punto in cui ha avuto inizio questa parte sul cosiddetto "Eden", in quanto afferma che "Samaele e Lilith sono chiamati l'Albero della conoscenza del bene e del male".

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