IL MISTERO DEL SATOR
Fino agli inizi del Novecento,in alcune province
tedesche si attribuiva al Sator il potere di guarire dall'idrofobia' :
impresso su un'ostia lo si faceva inghiottire a
chi era stato morsicato da un cane rabbioso.Un altro magico potere che. nel
Medioevo, si attribuiva alla frase palindroma era quello di far ballare le ragazze:
lo si legge, ad esempio, nel trattato di magia De secretìs mulierum.
de viriulis herbarum attribuito ad Alberto Magno.
Un incantesimo anglosassone. probabilmente medievale, aveva al suo centro la
celebre frase palindroma. ed era recitato per ottenere un parto senza dolore:
SATOR E INQUISIZIONE
Ma il Sator fu scoperto anche in un posto dove
veramente nessuno se lo sarebbe aspettato: sul sigillo dell'Inquisizione spagnola!
Nel 1905 fu pubblicato a Tolosa il libro di Emanuel Delorme Les emblemes de
l'Inquisition. In quest'opera, lo studioso annunciò di avere scoperto
nel Museo Etnologico di Lisbona un sigillo dell'Inquisizione spagnola che recava
il quadrato del Sator! Inoltre, lo stesso Delorme trovò una medaglia,
sempre dell'Inquisizione. che portava su un lato il notissimo simbolo del terribile
tribunale ecclesiastico: la Croce coronata posta tra un ramo di olivo (che simboleggia
la misericordia divina) e una spada sguainata (che raffigura la spada di Dio
che punisce gli eretici); sull'altro lato era inciso il quadrato magico letterale
del Sator. Cosa ci faceva un emblema magico su una medaglia dell'Inquisizione?
La sua presenza era inspiegabile anche ammettendo che il Sator fosse legato
in qualche modo a concetti religiosi.
II Delorme elaborò una teoria: il quadrato magico era stato originariamente
ideato come segno di riconoscimento tra i mèmbri dispersi di una setta
eretica. E quale poteva essere stata questa setta perseguitata?
Nell'idea del seminatore, dell'aratro, della terra, delle messi era rappresentato
l'atto unico che si propaga dal mondo superiore al mondo inferiore per infondervi
la vita: nel Sator era racchiusa la formula della gnosi ebraica espressa da
Aba Ezra, precursore diretto di Spinoza: «Tutto è nell'Uno in potenza;
l'Uno è nel Tutto in atto».
Il Sator dunque, narrava in estrema sintesi il concetto centrale della gnosi
di scuola ebraica: l'eterno svolgersi della vita permeata dallo spirito divino:
un concetto che la Chiesa cattolica ha sempre rifiutato e che l'Inquisizione
ha violentemente represso, perché esso considera il divino immanente
al materiale. La colpa estrema del Sator era, insomnia, quella di difendere
e propagare il panteismo.
Com'è noto, lo gnosticismo era per l'Inquisizione il tipo perfetto dell'eresia,
anzi la sorgente unica delle diverse eresie: pertanto il Sator (quadrato gnostico)
poteva giustamente essere scelto come emblema dell'eresia.
Perciò, come l'Inquisizione aveva impresso su un lato delle sue medaglie
la Croce coronata, ovvero il Credo della fede cattolica; così aveva scelto
per il rovescio il Sator, cioè il Credo dell'eresia. A prova di questa
ipotesi iconologica, Delorme faceva notare che nelle processioni degli auto
da fè, a coloro che si erano pentiti, i preti mostravano il gonfalone
dell'Inquisizione al cui centro spiccava la Croce coronata. Ma a quelli che
non avevano abiurato, e che venivano condotti al rogo, veniva mostrato l'altro
lato dello stendardo, su cui erano disegnati simboli di dannazione e disperazione:
i due lati del gonfalone erano distinti come quelli delle medaglie; da una parte
le immagini della santità, dall'altro quelli dell'inferno. Dunque, il
Sator sarebbe stato un quadrato letterale gnostico.
Il SATOR pompeiano
Nel 1925 una fortuita scoperta archeologica mise in dubbio
tutto quanto si era creduto fino a quel momento a proposito del palindromo misterioso.
Il 5 ottobre di quell'anno, durante degli scavi a Pompei, nel peristilio della
casa di Paquio Procolo, sopra un frammento dell'intonaco parietale della decorazione
dell'ambulacro meridionale, l'archeologo Amedeo Maiuri scoprì un pezzo
della famosa iscrizione, ma non riconobbe subito che si trattava del sator.
Il 12 novembre 1936 nel corso di nuovi scavi sotto la direzione di Matteo della
Corte si scoprì il quadrato magico inciso sulla scanalatura di una colonna
del portico interno occidentale della grande palestra pompeiana. Questo
ritrovamento risulta a tutt'oggi il più antico che sia stato effettuato,
e per questo il Quadrato del SATOR è stato anche chiamato «Latercolo
Pompeiano». Tale scoperta pose fine alla teoria cristiana; se, infatti,
si poteva ancora ipotizzare la presenza di una primitiva colonia cristiana clandestina
a Pompei in quegli anni, veniva a cadere il senso dell'interpretazione del Grossner.
Infatti, la A e la O che rimanevano ai lati della croce non potevano che riferirsi
al punto dell'Apocalisse in cui San Giovanni scrive: «Io sono l'Alfa e
l'Omega, l'inizio e la fine, colui che è, che è stato e che sarà».
Ma la diffusione dell'Apocalisse nell'Italia centrale avvenne, secondo studi
attendibili, verso gli anni 120-150 d.C., ed era quindi impossibile che tale
concetto fosse presente già prima del 79 d.C.
Queste due scoperte inattese gettarono Io scompiglio
fra archeologi e storici. Infatti, se - come molti credevano - il Sator era
una crux dissimulata, cioè un segno segreto dei primi cristiani, la sua
presenza a Pompei era assolutamente incomprensibile, poiché noi sappiamo
da fonti sicure, come Tertulliano ad esempio, che non vi erano cristiani a Pompei
fino al 79d.C- data della sua distruzione per l'eruzione del Vesuvio. Inoltre,
veniva confutata l'interpretazione del Sator come pater noster accompagnato
da Alfa e Omega, perché l'Apocalisse di San Giovanni, nell'anno della
fine di Pompei, non era ancora conosciuta in Italia Meridionale, dove si diffuse
non prima del 130 d.C. Infine, non si poteva nemmeno pensare che il Sator fosse
stato graffito dopo l'eruzione che cancellò Pompei sotto un mare di lava,
perché gli strati dei sedimenti sopra la colonna furono rinvenuti perfettamente
intatti. La scoperta fatta a Pompei costrinse gli studiosi a due ipotesi, entrambe
enigmatiche e piene di conseguenze problematiche: o il Sator non è un
segno paleocristiano, o a Pompei esisteva una comunità cristiana prima
di quanto si credesse.
Di fatto, la questione rimane ancora
aperta. Molti tra studiosi, ricercatori, enigmisti o semplici curiosi si arrovellano
ancora oggi nel cercare di dare un'interpretazione nuova al quadrato. Per concludere,
invece, la storia del Quadrato, bisogna citare l'ultima scoperta, in ordine
di tempo, avvenuta nel 1978 in Gran Bretagna, a Manchester. Un frammento di
un'anfora portata alla luce durante alcuni scavi archeologici mostra, infatti,
le cinque parole del quadrato magico disposte a partire dalla parola ROTAS (versione
speculare del quadrato). Il reperto è databile attorno al 185 d.C., ed
una targhetta esplicativa nel museo in cui è esposto c'informa che si
tratta della più antica attestazione della presenza cristiana in Gran
Bretagna, nonostante la tesi di Grossner sia stata comunque confutata.
La connessione con i Templari
In Italia il Quadrato Magico si ritrova in parecchi luoghi, oltre a Pompei.
Anche in numerose località europee è possibile rintracciare il
Quadrato. Si parte soprattutto dalla Francia, dove il SATOR è presente
nella chiesa di San Lorenzo a Rochemaure , in una vecchia casa di Le Puy (Haute-Loir),
nei castelli di Chinon (Indre-et-Loire, dove tra i numerosi graffiti presenti,
di origine templare, si trova anche a Jarnac e di Gisors, e nella Maison de
justice di Valbonnais. In Spagna lo si trova tracciato presso il santuario di
San Giacomo di Compostella, celebre meta di pellegrinaggi medievale; in Ungheria,
inciso su una tegola della "villa publica" di Altofen (la vecchia
Buda), insieme alla frase "Roma tibi salutas ita".
2 - Il SATOR nel Castello di Jarnac (dal sito:
Jarnac Champagne)
Molte di queste località, soprattutto in Francia, furono possedimenti
dei Cavalieri Templari; la prof. Bianca Capone, sulla base di attenti studi
personali, ha ipotizzato un legame tra il magico quadrato ed il famoso ordine
monastico-cavalleresco: sembra infatti che i Cavalieri adottassero questo simbolo
per contrassegnare dei luoghi particolari o per trasmettere delle preziose informazioni
esoteriche in forma codificata. Anche dal mio censimento risulta che la maggior
parte delle presenze del quadrato sul suolo italiano è databile attorno
al XII-XIII secolo e che nelle dette località è possibile attestare
la presenza dei Templari o, comunque, dei Frati Cistercensi, che con i Templari
erano in stretto rapporto.
3 - Il SATOR circolare di Valvisciolo
Tale tesi può essere ulteriormente rafforzata se si considera il particolare
esemplare di SATOR che si trova presso l'Abbazia di Valvisciolo, a Sermoneta
(LT), che fu templare e poi rimase ai Cistercensi. In tale luogo, infatti, si
ha l'unica presenza conosciuta del SATOR in forma circolare ad anelli concentrici
(fig. 3), nella quale viene a mancare sia l'accostamento ai quadrati magici
numerici (vedi, a tale proposito, le interpretazioni esoteriche), sia la croce
centrale formata dalle parole TENET. Pertanto, al di là di tutte le possibili
interpretazioni che possono essere date, è indubbio che per i Templari
il SATOR assumeva un significato ben preciso che per me non può essere
che quello di segnalazione di un luogo dalle caratteristiche sacre ben precise,
affine, in tal senso, ad altre figure simboliche come quelle della Triplice
Cinta o del Centro Sacro. La recente scoperta, da me effettuata, della GEOMETRIA
SACRA sul territorio laziale non fa che rafforzare tale ipotesi.
MENHIR DI RENNES LE CHATEAU - SATOR QUADRATO MAGICO TEMPLARI
Fra le alture di Rennes si trova un menhir, nella cui roccia un tempo era scolpito il busto di un personaggio non identificato, (la tradizione popolare parla del Re Merovingio Dagoberto II ). Il parroco Menry Boudet, con un gesto apparentemente inspiegabile, fece tagliare il masso, portando a valle e depositando presso la sacrestia della propria chiesa, il rimanente busto. Le pietre spaccate vengono dette "Massi d'Orlando", lo scrittore Umberto Cordier rivela che...:Si può avere la rottura spontanea di emblemi o monumenti, per una sorta di "magia simpatica" indotta. Non so se questo è il caso di Boudet, ma non escludo l'ipotesi che quella insolita azione, nasconda un rituale esoterico. Ad ogni modo, sulla nuca di quel busto, si dice che un tempo erano cesellate delle parole in lettere greche, disposte a comporre un'iscrizione a forma di palindromo, Precisamente:
S A T O R
A R E P O
T E N E T
O P E R A
R O T A S
La deduzione più verosimile della frase potrebbe
essere la susseguente:
"Il seminatore dell'Aeropago detiene le ruote dell'opera".
L'elegia pur essendo di origine paleo-cristiana, la si ritrova in diverso luoghi
d'Europa (a Rennes le Chateau sembra che ve ne siano state ben 3), in particolare
è frequente in alcuni siti templari, l'ordine era senz'altro a conoscenza
del suo reale significato. S'interessarono a quel "quadrato magico"
i più grandi esperti della cabala: la dottrina ebraica che esaminava
il senso più intimo e segreto della Bibbia; e le ricerche su quell'enigma
li ricondusse all'ermetismo. Anche i preti di Rennes Le Chateau erano dei grandi
studiosi: Antoine Gelis conosceva alla perfezione la storia antica di quei luoghi,
Henry Boudet era un esperto archeologo e nei suoi libri fa diverse allusioni
ai misteri "Eleusini", mentre Berénger Saunière, prima
di recarsi a Parigi per far decodificare le sue antiche pergamene, si dedicò
ore e ore allo studio, incontrando diversi "ermetisti". Tra i tanti
misteri, un vecchio documento denominato dossier "Rubant", basato
su un testo datato 1308, asserisce che Filippo il Bello, quando depredò
le carte della Milizia del Tempio, ignaramente s'impossessò di copie
falsificate redatte dai monaci stessi molto tempo prima, proprio in previsione
di un attacco all'ordine. Se è così che fine hanno fatto i certificati
originali? Potrebbero essere finiti negl'archivi della Prioria di Sion? Forse
i Templari vollero lasciare una "porta" aperta a chi un giorno saprà
ascoltare in silenzio, il senso di quelle parole o di quei graffiti scolpiti
suoi muri di vecchi castelli, oppure su alcune pietre oramai erose dal tempo.
Altre informazioni: http://angolohermes.interfree.it/simboli.html
SATOR MAGICO
Il quadrato letterale potrebbe essere stato concepito e usato in ambito magico,
più che religioso: abbiamo visto infatti che per molti secoli esso venne
utilizzato come strumento di azione occulta contro il morso dei cani idrofobi
e contro gli incendi. Saremmo di fronte ad una specie di formula magica, come
l'Abracadabra, che associava alla forza arcana delle parole la potenza delle
armonie geometriche. E interessante notare che, come oggetto magico, il Sator
venne impiegato per domare, per rintuzzare un grave pericolo: nel caso dell'incendio,
esso viene lanciato sulle fiamme per spegnerle; nell'idrofobia, esso è
creduto capace di estinguere il male. Queste pretese facoltà sembrano
associate dal verbo tenet che forma la parte centrale del quadrato; tenet significa
"tiene, possiede, regola, controlla". Quindi il valore magico del
sator è determinato da questo: è un talismano che domina e controlla.
Ma se si tratta soltanto di un talismano, le caratteristiche cristiane (come
la croce centrale e il paternoster anagrammato) sono casuali? E se è
un palindromo magico, a quale corrente esoterica si deve far risalire? Abbiamo
visto che il quadrato appare nel I secolo dopo Cristo. Che abbia avuto o no
legame con la dottrina cristiana, è comunque interessante notare che
il sator venne elaborato in un' epoca di forti correnti spirituali e mistiche.
La decadenza delle antiche religioni tradizionali romane e greche lasciava un
vuoto doloroso che le folle dell'Impero cercarono di colmare ricorrendo a culti
orientali; si diffuse rapidamente l'adorazione di Iside e di Mitra e la religiosità
assunse un carattere misterico e magico come non aveva mai avuto prima. Influssi
neopitagorici dall'Occidente e cabalistici dal vicino Oriente mutarono la spiritualità,
per cui i rapporti numerici, le trasposizioni numerico-alfabetiche, i quadrati
magici, le particolarità geometriche furono considerate prove di una
realtà superiore, dimostrazioni del grande disegno dell'Universo e chiavi
per la sua comprensione. Con ogni probabilità a quel tempo e a quella
condizione spirituale risale la formazione del Sator; quando, per caso o dopo
un lunghissimo studio, un sacerdote, un mago o un iniziato scoprì quella
straordinaria sequenza di parole che, con suoni fascinosi e arcani, dava un
messaggio breve ma ricco di misteriosi, imprevedibili ed inesaurubuli spunti
di riflessione.
SATOR IL MISTERO DELL'ANELLO
I MONACI CISTERCENSI
San Bernardo di Chiaravalle
(1090 - 1153)
Non si può parlare dell'Ordine Cistercense senza
nominare San Bernardo di Chiaravalle, anche perché la figura di questo
illustre santo e dottore della Chiesa costituisce l'anello di congiunzione tra
i monaci Cistercensi, che grazie alla sua influenza divennero uno degli ordini
religiosi più ricchi e più influenti del Medioevo, ed i Templari,
la cui costituzione egli raccomandò caldamente al Papa e per i quali
redasse la regola ricalcandola su quella benedettina dei Cistercensi stessi.
S. Bernardo nasce a Digione, in Borgogna, nel 1090, da una famiglia profondamente
cristiana. Studia presso i canonici secolari di St. Vorles a Chatillon-sur-Seine,
ma rifiuta di intraprendere la carriera ecclesiastica in Germania. Si ritira
invece presso il monastero di Cîteaux dove si cercava di vivere la regola
benedettina secondo lo spirito originale. Il suo arrivo diede nuovo slancio
e suscitò nuove vocazioni. Cinque anni dopo, insieme a dodici compagni,
per fondare una nuova abbazia in una località che egli volle chiamare
la Valle delle Luce: Chiaravalle. I suoi nuovi compagni erano inizialmente figli
della nobiltà, poi arrivarono anche contadini e gente del popolo. I monaci
facevano una vita semplice, si dedicavano all'agricoltura ed all'allevamento
del bestiame, ed introdussero anche delle tecniche avanzate. Bernardo era di
esempio ai suoi monaci nell'osservanza della Regola e maestro nello spiegarla.
Di particolare rilievo le sue opere sull'umiltà e sull'amore di Dio.
Sostenne e fece riconoscere da tutti, come legittimo successore di Pietro, papa
Innocenzo II, al quale era stato contrapposto Anacleto II. Bernardo, cantore
di Maria, la propose come modello di vita per tutti. Bernardo morì a
Chiaravalle il 20 agosto 1153, venne proclamato santo nel 1174 e dottore della
Chiesa nel 1830.
Storia dell'Ordine
Il 21 marzo 1098, equinozio di Primavera e festa di san Benedetto e,
in quell'anno, anche Domenica delle Palme, ventuno monaci, con a capo l'abate
Roberto di Champagne, lasciarono il monastero di Molesme per fondare, nella
Borgogna francese, 20 chilometri a Sud di Digione, un nuovo insediamento monastico,
che fu chiamato "Nuovo Monastero". Come sede per il suo ordine, Roberto
scelse un luogo solitario chiamato Cistercium (da cui la denominazione, poi,
di "Cistercensi"), l'odierna Cîteaux, e cominciò a seguire
un rigido stile di vita più consono alle regola benedettina originale,
il cui senso era stato fortemente alterato a Molesme. Oltre a Roberto, un notevole
contributo al buon esito dell'operazione venne dato da altri due religiosi,
Alberico e Stefano, considerati co-fondatori dell'Ordine. Alberico, infatti,
ottenne la concessione della protezione apostolica su Cîteaux dal papa
Pasquale II con la bolla "Desiderium quod" dell'aprile 1100, che assicurava
al Nuovo Monastero assoluta indipendenza da Molesme. Stefano si preoccupò
di conservare lo spirito del rinnovamento cistercense promovendo disposizioni
tese alla salvaguardia della povertà e della quiete monastica. Nel XII
secolo, grazie anche ai contributi di San Bernardo, l'Ordine era diventato quasi
una potenza temporale per l'estensione delle sue proprietà e per la sua
influenza, conquistate grazie alla capacità di adattamento e di valorizzazione
del propri beni. Questa agiatezza, in seguito, diventerà la causa della
loro decadenza. In questo periodo, comunque, nascono le più grandi ed
importanti abbazie cistercensi, in Italia, ma soprattutto in Francia, dove vengono
costruite 11 cattedrali le cui ubicazioni, segnate su una carta geografica,
formano, curiosamente, il disegno della costellazione della Vergine. Dal XIII
secolo, con il diminuire del reclutamento, è necessario ricorrere ai
canoni di affitto per continuare a beneficiare dei terreni e, poco a poco, si
prende l'abitudine di vivere non più del lavoro delle mani, ma delle
rendite delle proprietà dei monasteri. Tuttavia, malgrado la nascita
degli Ordini mendicanti, quello cistercense continuerà la sua espansione
e, all'inizio del XIV secolo, comprenderà 725 case di monaci. Il XIV
e il XV secolo saranno difficili da vivere per tutta l'Europa, compresi i monaci
cistercensi; i "grandi" di questo mondo confiscano i beni ecclesiastici,
i conflitti armati si allargano a tutta l'Europa, le grandi epidemie diffondono,
dappertutto, i loro danni; infine, la nascita dell'Umanesimo contribuisce, da
parte sua, al crollo della società medioevale, mentre nuove correnti
spirituali si sviluppano in modo informale e danno vita a dei gruppi come quelli
delle "beghine" e dei "begardi" che vivono nelle città
e si dedicano alla meditazione e alle opere di carità. Nel XVI secolo
non figura nessuna nuova fondazione, ma la Riforma metterà in atto la
scomparsa irreversibile di più di 200 monasteri, mentre la maggior parte
degli altri saranno devastati. Nello stesso periodo compare il sistema commendatario
che indebolisce l'Ordine monastico e non permette di prendere misure di risanamento
in campo disciplinare o economico. La difficoltà dei tempi rende ardua
la partecipazione ai Capitoli Generali. È nel XVI secolo che si affermano
maggiormente le congregazioni nell'Ordine. Si tratta di monasteri che appartengono
a una stessa regione e sottomessi a una medesima autorità politica e
i cui superiori si riuniscono in Capitolo Generale, a intervalli regolari. Seguendo
le decisioni del Concilio di Trento, che ha richiamato con fermezza ai religiosi
e alle religiose i loro doveri e impegni, comincia un grande movimento di ripresa
e nasce un vivo desiderio di ritorno al fervore primitivo, particolarmente nei
monasteri della filiazione di Clairvaux. In questo periodo nasce l'Ordine Cistercense
della Stretta Osservanza (O.C.S.O.). La riforma venne attuata soprattutto grazie
all'opera di Armand-Jean le Bouthillier de Rancé, abate di Notre-Dame
de la Trappe, una delle più antiche abbazie cistercensi. Per tale motivo,
i Cistercensi dell'O.C.S.O. sono anche comunemente conosciuti come frati Trappisti.
Il XVIII secolo, con l'Illuminismo, offre un quadro diversificato dell'Ordine:
certe case sono ferventi e hanno un reclutamento soddisfacente; altre, molto
più numerose, hanno solamente un numero ridotto di monaci che assicurano
un minimo di vita comune nelle costruzioni, spesso immense, che danno l'illusione
di una grande prosperità. In Germania e nell'Impero Austro-Ungarico è
il periodo della grande fioritura del Barocco, ma è anche il periodo
del "giuseppinismo", nel corso del quale, per sfuggire alla chiusura
di cui sono minacciati, i monasteri accettano delle attività annesse
e, fino ad allora, poco praticate dai Cistercensi: parrocchie, scuole, e così
via. È in questo contesto che scoppia la Rivoluzione Francese, la quale
giungerà alla decisione della soppressione di tutti i monasteri. I monaci
sono espulsi, alcuni di essi moriranno martiri nei barconi, i beni conventuali
sono confiscati e venduti dallo Stato. Gli eserciti della Rivoluzione e, in
seguito, quelli dell'Impero generalizzano il movimento nell'intera Europa, tra
il 1789 e il 1810. In questo contesto, estremamente difficile, c'è tuttavia,
un gruppo di monaci dell'Ordine che sotto la guida di Agostino de Lestrange,
maestro dei novizi della Trappa nel 1789, vivendo una lunga "odissea"
che li condurrà sino alla Russia, riesce a tenere viva la vita cistercense
in un certo numero di fondazioni, sparse in tutta l'Europa. Dalla restaurazione
della monarchia francese - 1815 - alcuni membri di questo piccolo gruppo, riprendono
la vita monastica (in Francia e Belgio) e danno origine a una nuova rinascita
monastica caratterizzata da una grande generosità, da un intenso fervore
spirituale. Questo rinnovamento si attua malgrado una grande precarietà
materiale ed è segnato da un senso profondo dell'ascesi e della riparazione
degli abusi commessi dalla Rivoluzione Francese. In altre parti d'Europa la
situazione è diversa. I monasteri dell'Ordine riprendono vita in Austria,
Ungheria e Italia, mentre in Spagna, Portogallo e Svizzera sono vittime di politiche
settarie - conseguenze tardive della Rivoluzione Francese - e spesso costretti
alla chiusura. Nel 1892, sotto il pontificato di Leone XIII, la maggior parte
dei monasteri situati in Francia e in Belgio, quelli usciti dall'"odissea"
di cui si è parlato, si raggruppano e formano "L'Ordine Cistercense
di Nostra Signora della Trappa", mentre gli altri monasteri cistercensi,
raggruppati in diverse congregazioni formano "Il Sacro Ordine di Cîteaux".
Nel 1898, in occasione dell'ottavo centenario della loro fondazione, i Cistercensi
riformati hanno la possibilità di riscattare l'abbazia di Cîteaux
e di farvi rifiorire una comunità. La fine del XIX secolo e il XX secolo
sono stati un periodo di persecuzione per i monasteri cistercensi che devono
vivere delle ore difficili in Francia e che sono vittime di totalitarismi che
colpiscono tutta l'Europa dell'Est e l'Estremo Oriente, causando la soppressione
di molti monasteri e provocando la testimonianza di numerosi martiri della fede.
Nel 1995 i due ordini monastici l'Ordine Cistercense e l'Ordine Cistercense
della Stretta Osservanza si condividono il giusto titolo di Cîteaux. A
questi due rami si ricongiungono diverse famiglie religiose di ispirazione cistercense.
L'Ordine Cistercense comprende 12 congregazioni che raggruppano in totale 77
monasteri di monaci e 63 monasteri di monache (1014 monaci e 966 monache nel
1993).
Testo tratto dal sito dei Cistercensi: www.cistercensi.it
A PROPOSITO DELL'ASSEDIO DI TERDONA RACCONTATO DA "BAUDOLINO DE' AULLARI"
TRATTO DAL LIBRO DI UMBERTO ECO -"BAUDOLINO"- (file mp3 free dowload)
LETTO E INTERPRETATO DA PAOLO DE MANINCOR SU MUSICA DI GILBERTO QUATTROCCHIO
La città dei tre doni e la Santa Coppa di Cristo
STORIA DELLA COPPA
“…chi si mantiene puro sarà un vaso nobile...” ( II° Tim. – 20,21) Solo chi vuol esser ed è cavaliere di Cristo può esser chiamato ad avvicinarsi alla gloria della Coppa, ma sappia che non otterrà la corona se non avrà ben combattuto. La Coppa infatti passa per la nave e per il sepolcro, per il cuore e per la pira, per il pesce e per la roccia.Chi reca in sé il nero il bianco e il rosso non è lontano dal verde della Coppa.E così chi conosce la fratellanza fra le quattro operazioni – Seguiamo la scia del sangue reale – “(San Brandano) .La santa Coppa fu intagliata dagli angeli per ordine di Dio e da Lui donata per le nozze di Adamo ed Eva e offerta ponendola sulla roccia presso la quale fu creato il nostro progenitore. Il suo colore è il verde. Un verde che fiammeggia di vermiglio e luce di luce bianca. Chi porta in se il nero il bianco e il vermiglio non è lontano dal verde della Coppa. Persa l’amicizia con Dio la Coppa restò nell’Eden presso l’Albero della vita e fu recuperata da Seth quando Dio gli concesse di ritornare per 40 giorni nel Giardino d’oriente La Coppa fu custodita e tramandata dalla stirpe santa: da Enoch a Noè, da Sem a Melchisedek, e Abramo fino a Giuseppe e Mosè. Da Elia a Davide e Salomone fino agli esseni e a Giuseppe d’Arimatea: così ritornò nelle mani di Colui che l’aveva creata. La Coppa passò all’Impero Romano e ai Pontefici: quando non ne era degno l’Imperatore del momento permetteva di essere custodita dal Pontefice e viceversa. Quando nessuno era degno ritornava nel suo Cielo o appariva a spiriti eletti e a santi. La Coppa è la radice buona della terra, il vascello che porta dal castello all’Eden terrestre, il Cuore del cuore, il monte santo, il manto santo, la pienezza che ci svuota, la sete che ci sveglia e sazia, la corte nuziale, l’origine delle imprese, ardore che infiamma il fuoco, la pietra di ogni fenice. Nel medioevo lo spirito di molte famiglie nobili palpitò della Coppa e fu da Lei ulteriormente nobilitato, fra esse: Merovingi, Malaspina, Monferrato, Montefeltro, Savoia, Hoenstauffen, Angiò, Este, Gonzaga, Lorena, Asburgo, fino a Eugenio di Savoia, Joseph de Maistre e lo Zar Alessandro . Oltre a ciò molte opere letterarie celano evidenti segni della gloria della Coppa: Bandello, Vaqueiras,e soprattutto i quattro pilastri aurei della nuova tradizione occidentale: “Gargantua e Pantagruel”, “ Don Chischiotte”, “Gesusalemme liberata”, e “Orlando furioso”. Chi non li vede continui a non vederli. Nello stesso modo molte città e grandi santi hanno contemplato la Sua sapienza, fra essi: San Giovanni, San Longino, Santa Maddalena, S. Vincenzo Ferreri, S.Giovanna D’Arco, S. Carlo Borromeo, Santa Teresa d’ Avila, San Padre Pio. La coppa è tre volte santa: per l’origine, l’autore e la fattura perfetta, per la santificazione durante l’ultima e la prima Cena, e per la seconda definitiva santificazione durante la Croce e la deposizione. In lei sono custoditi e trasmessi i segreti del Re, del Regno e del Santissimo Sangue di Cristo. Chi vuol penetrare il velo d’argilla, chi vuol oltrepassare con santa audacia l’ombra dell’occaso conoscendo il punto di contatto fra Spada, l’osso e l’animo e accostarsi al velo celeste allora inizi a meditare su queste sette verità sul Sangue reale: a) è uno e infinito e non muta mai sostanza b) più si dona più s’accresce, più si sparge più raccoglie c) viene da ferita che sana e s’effonde senza violenza d) si manifesta dall’invisibile pur essendo vero sangue e) resta senza consumarsi, anzi consuma chi l’accoglie assimilandolo a Sé f) è l’aria dell’aria, il fuoco del fuoco, la terra della terra, l’acqua che disseta e lava l’acqua, l’origine del vento, la ragione della cerca,la corda del rotolo, e conosce sia ciò che muta che ciò che non muta g) è Uno ma molti vi partecipano, e resta Uno; …. Tortona non è altro che un'altra Chinon, Colieure, Aquila, Le Puy, Otranto, Siòn, Grado, Spalato, Tomar, Orvieto, Aci reale, Betania, Gorizia, Aosta, Colonia, Jesi, Monza, Roseto, Fecamp,Arles, Orange, Gradisca, ecc. ecc., pertugi per entrare nella terra buona circondata dall’acqua calma ove pesca il ricco e ferito Re pescatore. E queste buone terre sono simili alla dolce e terribile Arcadia e alla nobile Tebaide, e simili anche alla terra verde dell’estremo nord. Solo chi scava sotto la sua casa trova il buon vino che riceve per primo la luce dell’alba e del Sole.. La Città del tre doni è un antica testa di ponte il cui innesto ancora sopravvive! Ecco la sintesi perfetta di Liguria, Lombardia e Piemonte! IL bestiario della coppa si ritrova nella colomba, nel gallo, nell’unicorno, nell’aquila, nella salamandra, nel leone, nelle api, ne pesce e nel cervo. Nella flora: la rosa, il gladiolo, il giacinto, il biancospino, il cedro e l’olmo.".... Come in un vaso d'argento si conserva un aureo monile" ( San Colomba).
DERTONA-TERDONA (TRE DONI) - LA SANTA
COPPA
La Santa Coppa di Cristo fu custodita in Tortona dal 410 fino
certamente all'epoca di Federico II°. La storia di questo meraviglioso tesoro
materiale-spirituale segue le linee invisibili della storia della salvezza.Fu
un oggetto creato dagli angeli su ordine di Dio e poi donato da Lui ad Adamo
in occasione della creazione di Eva e dell'unione dei progenitori. Oggetto dunque
sia materiale che spirituale, carico dei carismi di Dio. Fu l'unica cosa che
Seth tornò a riprendere nell'Eden durante i 40 giorni concessigli da
Dio, e fu poi tramandata da Seth in poi attraverso la stirpe santa: da Enoch
a Noè, da Sem a Melchisedek Re di Salem che la donò ad Abramo.
Seguì la stirpe di Abramo fino a Mosè che la riportò in
Terra santa e veniva custodita nella Tenda della testimonianza, nell'arca dell'Alleanza
e con Salomone nel Tempio di Gerusalemme. Fattane una copia per il Tempio, fu
poi affidata ai Magi caldei e da loro portata al Dio-bambino nel giorno dell’Epifania
per poi affidarla agli Esseni che la custodirono in una grotta nel deserto.
Giunse infine definitivamente a Colui al quale era destinata: il nuovo Adamo
celeste, il Cristo, il restauratore dell'Alleanza con Dio, e l'Iniziatore della
nuova stirpe eletta. Fu custodita dalla Santa Vergine, da San Giovanni e da
Giuseppe d'Arimatea. Nascosta a Gerusalemme ne uscì portata da Giuseppe
per essere custodita nella Chiesa di Efeso e nelle sette Chiese d'Asia sotto
la vigilanza di S. Giovanni. Passò anche in Armenia per poi tornare in
Gerusalemme quando non ci fu più alcun pericolo per i cristiani. Fu sepolta
vicino al Santo Sepolcro e lì ritrovata dall'Imperatrice Elena e portata
a Roma. Era custodita nel palazzo imperiale del Palatino. Durante l'apostasia
dell'Imperatore Giuliano fu trafugata e messa sotto la custodia della Chiesa
nel Santa sanctorum del Laterano. Una delle proprietà della Coppa era
ispirare la visione del futuro e aiutare i cristiani a sfuggire alle persecuzioni.
La Coppa stessa si difende dalle violenze e dalle profanazioni: oltre a ciò
possiede il potere di apparire e scomparire quando non vi sono custodi umani
degni. Per questo non ha senso cercarefisicamente tale mistico oggetto, ma ha
senso solamente cercare le tracce simboliche e storiche di tale mistero divino.
L'Imperatore Maiorano fu ucciso a Tortona in rapporto con la sacra coppa, della
quale per primo ne volle, ideò e preparò la custodia in Dertona.
In ogni luogo ove passò ne fu fatta un'imitazione onorevole che ne esprimeva
un tratto spirituale e simbolico. Fu anche a Valenza in Spagna, ove è
conservata una sua sacra imitazione, e pure a Genova. Nel 410 mentre i barbari
stavano per invadere Roma, fu fatta fuggire a bordo di una nave guidata da ufficiali
romani scelti e fedeli che la portarono a Genova e attraverso gli appennini
liguri a Tortona, nelle segrete del castrum terdonensis. Da allora Genova iniziò
ad essere soprannominata "Ianua" perché per essa passò
la Coppa rivelando i suoi misteri e prodigi, e da allora Dertona fu chiamata
Terdona per via della presenza di tale tesoro. Non è credibile che la
mutazione del nome sia stata una mera corruzione linguistica: si tratta di nome
dalla struttura unitaria e semplice rimasto inalterato per millenni, mentre
“Terdona” manifesta una ricchezza di significati e messaggi simbolici
impressionante e corrispondente alla tesi che qui si espone! Non è casuale
che tale periodo storico è quello in cui inizia l’epos dei cavalieri
cristiani. Perché fu scelta Tortona? Perché era ancora un baluardo
di romanità intatta ed invitta in un mare di caos e contaminazione barbarica
e pagana, perché il suo castello era munitissimo e difficilmente prendibile
e non era ancora stato conquistato né profanato dai nemici, perché
era chiamata "piccola Roma" per i suoi sette colli, e possedeva la
stemma del leone derivante dalle legioni romane che sempre vi stanziarono, perché
era la più antica colonia romana del nord, perché era città
non appariscente e non opulenta ma solamente militare e famosa per la sua fedeltà
a Roma. Come dicevamo la città cambiò il suo nome cioè
mutò e si arricchì l'essenza spirituale del luogo. Già
è notevole il fatto che il nome celtico non fu alterato da Roma ma perpetuato:
un segno di grande rispetto e in pochi anni dalla colonizzazione romana era
già "città insigne"! Il suo nome celtico "Derton"
(luogo alto/luogo forte) da cui la fedele latinizzazione "Dertona",
fu reinterpretato profeticamente come "Terdona", cioè "la
città dei tre doni", la città degna di ospitare il più
grande tesoro-reliquia del Dio trinitario, il calice che conteneva il triplice
dono: l'oro dell'amore e della regalità del Suo sangue, l'incenso della
sacerdotalità della coppa e della sua funzione propiziatoria e rituale,
e la mirra dell'immortalità
dello Spirito e del Corpo di Cristo e delle Sue reliquie. Una città che
era stata fondata dai romani tre volte (sotto il Senato, sotto Cesare, e sotto
Augusto) quale fedele modello di Roma era quella adatta per ricevere il segno
della nuova sovranità universale trinitaria. I tre doni potevano anche
essere: la Santa Coppa, la Croce di Cristo e un altra Reliquia o manifestazione
divina! Si dice che in località tortonese vicino a Paderna avvenne nei
primi tempi del Cristianesimo una manifestazione divina in triplice forma: di
sorgente d'olio, di pietra e di sangue. E' per questo motivo che i potenti Vescovi-conte
di Terdona ottennero dall'Imperatore, e da Milano, e tennero fino al 1783, un
"principato" che comprendeva un piccolo territorio includente tale
zona e in totale sette località disposte similmente al carro dell' Orsa
maggiore, in prossimità della Città? Fu il principato del "Vescovato"
un luogo di custodia della sacra Coppa? Dal tardo impero si coagulò inoltre
un misterioso e profondo legame spirituale fra Terdona e Milano: Milano fu sempre
sollecita ad aiutare Tortona e ne ricostruì più volt il borgo
distrutto dai nemici. Un legame che passò per i primi vescovi di Terdona
fra cui il nobile Innocenzio Quinzio. Era come se Milano fosse in debito morale
con Tortona o come se avessero un grande interesse in comune. Quale? I santi
Nazario e Celso ad esempio soggiornarono a Tortona e furono martirizzati a Milano,
ma non basta. Non sono sepolti in San Eustorgio in Milano i resti dei Re Magi?
Non erano tre i doni portati dai santi Re al Dio neonato? Ecco il legame! Milano
sapeva del Tesoro spirituale nascosto in Terdona e garantiva l'indipendenza
e la sopravvivenza di Tortona. Da quando giunse tale tesoro prodigioso allora,
ancor più prodigiosamente, il Castello della la città fu risparmiato
dalla distruzione e fu sempre più ingrandito, potenziato e stimato dai
Re d'italia gotici e dagli Imperatori carolingi e del sacro Romano Impero. Teodorico
fece del forte di Terdona il granaio per tutta la Liguria! Ancora una volta
la sacra Coppa viene associata all'abbondanza e alla sicurezza della terra!
In Tortona convissero pacificamente romani e goti, franchi e longobardi: tutti
uniti nella venerazione della reliquia e ben influenzati dai poteri della stessa!
Persino i bizantini cercano di impadronirsene e di raggiungere Tortona! Solo
la presenza segreta della Santa coppa spiega l'importanza sacrale e politica
di una città ben piccola e gravitante solo attorno al suo Castello. Solo
la presenza di tale preziosissima reliquia spiega il passaggio per Tortona di
Carlo Magno e la presenza in Tortona di figure femminili di stirpe imperiale
e regale: L'imperatrice Giuditta, l'imperatrice Richilde (che fu consacrata
tale dal Pontefice nel Castello di Tortona) e alla fine la Duchessa Cristierna
di Danimarca, ultima duchessa di Milano. Non era la Coppa portata in processione
da nobili donne? La Coppa e le sue virtù giustificano la grande e non
comprensibile autonomia e nobiltà che ebbe per più di 1000 anni
la contea Tortonese e anche da tale presenza spirituale invisibile ma fortissima
derivò la gloria e la grandezza della sua Diocesi. L' "ager dertonensis
o iriensis" era vasto e comprendeva un area in cui l'influsso di Dertona
sopravvisse dal punto di vista ideale anche quando non sussisteva più
un corrispondente potere di controllo militare e politico: andava da Villa del
Foro (Alessandria) fino a Voghera, dal Fiume Po e da Pozzolo fino a Libarna
(Serravalle) comprendendo inoltre cinque valli: Val Trebbia, Val Staffora, Val
Curone, Val Grue e Val Borbera.
La stessa configurazione prese poi la Diocesi di Dertona. Per alcuni periodi
la Santa coppa fu custodita anche nel monastero di Bobbio, in Diocesi di Tortona,
e in tempi più recenti nel feudo di Rosano. Relativamente a Bobbio notiamo
che il Papa Silvestro II° era Abate di Bobbio, della Diocesi di Tortona
e assunse lo stesso nome del Papa di Costantino, colui che aveva recuperato
la Coppa! Chiaro segnale di strategia e legittimazione divina! Ancor oggi nel
Museo romano di Bobbio è conservata un anfora che la tradizione ritiene
una delle anfore utilizzate alle nozze di Cana. In merito al feudo-monastero-fortezza
di Rosano (Rossiano-Roxano-Rubea) c’è da osservare che apparteneva
all’Abbazia tortonese di San Marziano e possedeva tre Chiese nonché
importanti reliquie come il corpo di San Vitale, e fu poi custodito dalla potente
famiglia degli Spinola di Spagna. In Rosano si venerava San Michele e la Vergine
e oggi ancora si può ammirare un affresco del 1400-1500 raffigurante
una rara Madonna la quale, mentre allatta, mostra tre fiori porgendo un Gesù
bambino ornato da una collana di corallo. Rosano presidiava anche il guado sul
Curone. Durante il periodo carolingio e ottoniano Tortona fu spesso sede di
soggiorno e di corte per gli Imperatori e i Papi, i quali si fermavano anche
nel territorio tortonese in una località chiamata “Alpe plana”.
(Ad esempio Papa Callisto II°.) I Vescovi di Tortona erano segretari-consiglieri-ambasciatori
degli Imperatori e Principi del Regno Italico: eleggevano-confermavano i Re
d’Italia in Milano o Pavia. Essi si dichiaravano soggetti alla Legge Longobardica.
Il Tortonese era l’unica regione della Liguria che apparteneva anche alla
Longobardìa. Prova ne è che spesso la Chiesa di Tortona più
volte nascose e protesse gli Arcivescovi di Milano quando erano oppressi e combattuti
dai barbari o dagli Imperatori. Spesso questi autorevoli e potenti Vescovi mediarono
fra l’Imperatore e il Papa nella lotta delle investiture: pur restando
fedeli al Pontefice conservavano margini di autonomia e di mediazione. Ancora
nel 1500 il Vescovo Gambara scriveva a Carlo V° nel tentativo di riconciliare
l’Imperatore con il Pontefice. Altra vicenda epocale fu il terribile assedio
che il Barbarossa strinse per due mesi attorno a Tortona, riuscendo a prenderla
solo per sete dopo aver avvelenato le sorgenti. Perché sprecare tante
vite umane, tempo ed energia contro Tortona invece di scendere subito a Roma
a rivendicare i diritti imperiali o indirizzarsi contro città ostili
più potenti? Perché l'Imperatore pretendeva il possesso della
Santa Coppa, desiderata per le sue virtù di propiziazione e di invincibilità.
Il Barbarossa invece di accontentarsi di contemplarLa e di adorare il Sangue
di Cristo in essa contenuta come avevano fatto gli altri Imperatori, ne rivendicava
la proprietà, di qui lo scontro. Ecco una delle ragioni dello scontro
fra autonomia comunale e autorità imperiale, fra giurisdizione della
Chiesa e diritti dell'Impero: chi doveva custodire la più preziosa reliquia
del Figlio di Dio? Tortona possedeva la soluzione di equilibrio: città
dalle radici profondamente romane, contea carolingia, ma anche potente Diocesi
fortemente cattolicizzata e governata dai vescovi-conte, territorio in perfetto
equilibrio fra Liguria e Lombardia, fra Genova e Milano, città infine
da sempre autonoma nel suo territorio e mai interessata da ambizioni espansive.
L'unico scopo strategico di Tortona fu: conservare, custodire, perpetuare, consolidare
un culto, un rito, una missione, quella di difendere la santa coppa di Cristo.
Quando i Milanesi ricostruirono la fortezza di Tortona dopo la distruzione operata
dal Barbarossa fecero tre doni all’amata Tortona consistenti in tre emblemi
due dei quali erano la Croce rossa su campo bianco (che dai tempi di Costantino
sventolava dagli spalti di Tortona) e il segno del Sole e della Luna. Ennesima
conferma della gloria regale ed universale che circondava la Città e
che solo la Coppa di Cristo giustificava. Alla Pace di Costanza Tortona figura
fra le città dalla parte dell’Impero, nonostante le due distruzioni
subite la tenacia di Tortona vinse e persino il Barbarossa dovette trovare un
accordo dignitoso con Tortona e la volle alla fine con se! La durezza del Barbarossa
non fu imitata da Federico II° che ricoprì di onori e privilegi Tortona,
donandoLe fra l’altro il diritto di battere moneta, privilegi confermati
dall’Imperatore Arrigo VII°. Da allora mai ebbe più incrinature
o decurtazioni l’imperialità della Città di Tortona fino
ad Umberto II° di Savoia, Protettore di Gerusalemme e ultimo conte di Tortona.
Impressionante fu sempre l’elevato numero di Famiglie nobili rispetto
la ridotta quantità di popolazione: già ben sessanta nel 1145!
La Coppa dopotutto è sempre stata cantata quale fonte di nobiltà
e di fecondità, quale culla di regali stirpi. Ecco ora altri indizi e
conferme di tale presenza e funzione. Tortona possedeva una porta denominata
"porta dei Leoni" e posta sul castello verso sud-ovest, simbolo di
eccelsa regalità: il Leone difende la coppa dalla direzione simbolicamente
più delicata. Come Cristo è nato ad est e come il Nord è
dimensione favorevole per la Chiesa cattolica, così il nemico simbolico
viene da sud ovest, e va protetta la via per la quale è giunta la Coppa,
dal mare, dalla Liguria. Tortona restò sempre e fino ad oggi appartenente
alla regione ligure, di origine celtica: è l'unica Diocesi della Liguria
pur non avendo il mare! Lo stesso simbolo del Leone è simbolo che viene
dalle legioni romane e tutte le maggiori famiglie nobili di Tortona possedevano
tale simbolo. Ma è soprattutto simbolo di Cristo: il "Leone di Giuda",
e conferma quella nobiltà mistica che derivava dalla Coppa e dal servizio
ad Essa. Dopotutto non era il simbolo di Lancillotto? Non era Lancillotto nato
nella città del Leone? ( tanto che alcuni pensavano si trattasse di "Lione"
per assonanza ) Solo per nobiltà che discendeva la presenza della Coppa
fu richiesta la presenza dei Tortonesi alle prime Crociate e lo stesso Imperatore
Federico II°, nonché i Monferrato, volle imparentarsi con i nobili
di Tortona. L'altro simbolo eccelso unito al Leone e unico nel suo genere e
che rappresenta araldicamente Tortona, è la Rosa. Il calice è
simbolicamente analogo al fiore e al cuore. Come il Leone è il più
nobile degli animali così per l'Occidente cristiano la Rosa è
il più regale dei fiori. L'unione dei due, con il Leone che mostra e
impugna la rosa volgendosi verso sinistra (in senso antiorario), dimostra una
nobiltà spirituale indicibile e inaudita per una piccola città,
e lancia un messaggio cifrato: in Tortona Cristo possiede la Sua coppa santa,
l'unità è restaurata, è presente il vasello che custodisce
il Sangue vivo ed inconsumabile di Cristo, l'anima è colma dello Spirito
del Suo Re. Pensiamo ora ai colori: Leone argentato su fondo vermiglio, i due
colori dell'Amore mistico del Cantico delle creature, i colori del potere, e
soprattutto lo stesso simbolo dello scudo di Parsifall! Ancor oggi sopravvivono
ulteriori conferme sapienziali di questa tesi: la città è circondata
non più da sette colli ( spianati per ragioni militari-economiche e consunti
dai secoli) ma sempre da sette frazioni ( Passalacqua, Torre Garofoli, Monbisaggio,
Castellar Ponzano, Vho, Rivalta, Bettole), come le stelle dell'Orsa sono vicine
alla Stella polare e come le sette stelle del candelabro di Cristo nell'Apocalisse;
oltre a ciò in città da più di due secoli si stampa "l'almanacco
del Gran Pescatore di Chiaravalle", segno evidente dell'unicità
ed importanza spirituale della città. Non è il Re pescatore il
custode della Coppa? Non è Cristo stesso Pescatore di uomini? La Coppa
non ispirava la profezia e governava la fecondità della terra? Altri
segni curiosi: vicino a Bettole di Rivalta passa una strada chiamata “Strada
dell’Imperatore”, e una simile denominazione è presente vicino
a Dernice; in Torre Garofoli passa la “strada Cerca” sullo stesso
tragitto della via Romea e compostelliana; San Giovanni Bosco dal Castello di
Tortona benedisse la città, l'Italia e il mondo intero con l'auspicio
che l'Italia tornasse cuore della luce cristiana sul mondo intero, non è
un augurio-preghiera che si comprende meglio se si pensa alla presenza alla
Coppa-Cuore di Cristo in Tortona? Altro segno: Tortona conserva una reliquia
della Santa Croce e possedeva una presenza dei cavalieri Templari presso l'ostello-chiesa-porta
di San Giacomo. (una delle poche loro presenze in Piemonte) Non era compito
dei Templari secondo la loro regola custodire la Santa Croce? Non era sul castello
la Cattedrale prima del 1500? Solo la Croce santa era da loro custodita? Ma
non ci sono reliquie della Croce santa in ogni Chiesa cattolica? Troppe concordanze,
troppi indizi che alludono alla presenza di una realtà sacra e riservata
in Tortona. Ultimi segni: ancora lo stemma araldico. Vediamo una corona di alloro
e di quercia, segno della perfetta intesa fra celti e romani. Roma tenne lo
stesso nome celtico della città invece di imporne uno nuovo, segno che
dopo la guerra di conquista era avvenuta una piena saldatura fra il passato
celtico e il futuro romano. L'alloro e la quercia sono inoltre simbolo di massima
gloria e di forza. Oltre a ciò è formidabile e illuminante il
motto araldico: "Pro tribus donis Terdona similis Leonis". Cioè:
Tortona è simile a Cristo perché ne custodisce la Santa Coppa,
Tempio e ricettacolo della Santissima Trinità, e come i Re Magi la ripresenta
a Cristo. Ecco la spiegazione dell'incredibile numero di Chiese, Conventi, Abbazie,
Monasteri e Ostelli per pellegrini che si trovavano a Terdona nel medioevo:
era un piccola Roma, una piccola Gerusalemme; la presenza della sacra Coppa
ispirava un costruttivo misticismo e il gran numero di luoghi sacri era pure
utile a dissimulare il luogo in cui era nascosta la Coppa. Non è altrimenti
spiegabile la presenza di un tale numero di ospedali e di ostelli per i pellegrini:
in Chiese, Case, Mansioni, e in luoghi che oggi sono Tenute e Cascine e un tempo
erano domus di notabili romani.Ma quali sono veramente i tre doni? Oro incenso
e mirra nei loro significati spirituali? La risposta essoterica è facile:
forza-coraggio, lealtà e gentilezza. Ma questa risposta riguarda solo
il senso morale della frase; e il senso anagogico? Forse Spirito, acqua e sangue?
Chi cerca trova e non sarà deluso perchè Fedele è il Tesoro.Non
basta la giustificazione che Terdona era situata all’incrocio delle tre
vie sante principali: Via francigena, Via Romea, e Via compostelliana; in realtà
è vero anche il contrario: il misticismo che emanava da Terdona e alcune
fughe di notizie richiamarono e attrassero turbe di pellegrini per i quali Terdona
non era solo una tappa importante nel pellegrinaggio, ma anche una meta stessa
di pellegrinaggio. Oltre a ciò all’epoca del medioevo il Castello
di Tortona doveva apparire estremamente elevato per l’altezza del Colle,
i terrapieni e le mura, abbellito da una Torre romana chiamata “Rubea”,
cioè Rossa, ( anche detta “Tarquinia”) e da una Torre Bianca,
e circondato dalle acque, in quanto era circondato dal fiume Scrivia (all’epoca
ricco di acque tanto che solo esperti traghettatori erano in grado di passarlo
e non esistevano ponti), e dai torrenti Ossona, e Grue.
Era quindi difeso e abbellito per tre lati dall’acqua, nonchè circondato
da colline, sentieri, rogge e rocce, oltre ad essere collegato per mezzo di
gallerie e cunicoli sotterranei all’Abbazia cistercense di Rivalta ( Ripa-alta)
e alle Chiese del Borgo sottostante: un paesaggio variegato e fascinoso molto
simile a quello del Castello del Re Pescatore, al Castello del Graal e ai luoghi
limitrofi come sono descritti nei romanzi cavallereschi del 1200-1300! L’altezza
del Castello e la sua posizione permetteva di metterlo in comunicazione visiva
con un territorio molto vasto e significativo: Novi Ligure da un lato, Voghera
dall’altro, e verso Genova o la Lunigiana la via dei messaggi era facilmente
tracciata in triplice tragitto attraverso una rete fitta di segnalazioni ignee
fra forti e Castelli: a) Pozzolo-Novi-Serravalle-Arquata-Castello della Pietra,ecc.;
b) Vho- Sarezzano- Avolasca- Garbagna -Montebore- Sorli -Cantalupo - Brusamonica
c) Volpedo-Monleale-PozzolGroppo- Montemarzino- Brignano- SanSebastiano -Gremiasco-Fabbrica
Curone - Varzi- Oramala, ecc. Tutti luoghi di origine militare celtica, rifondati
da romani, longobardi e franchi per la difesa dai saraceni e dai bizantini,
luoghi in cui passava la “strada del sale”. Nel primo medioevo tutta
la regione ligure dell’entroterra era chiamata “Patrimonio delle
Alpi Cozzie” e apparteneva alla Santa Sede, uno dei primi feudi della
Chiesa di Roma. Fu usurpato dai Longobardi e poi restituito al Pontefice dal
Re Ariperto. Da qui la dignità di Principi dei Vescovi di Tortona, e
il loro fregiarsi, nel blasone vescovile, di una Spada accanto al Pastorale.
Solo la presenza della Coppa di Cristo poteva conferire tale dignità
nonché un’unione così stretta e manifesta del potere spirituale
con il potere temporale. Fino a quando restò tale tesoro nella città
di Tortona? Il fatto che il Maresciallo imperiale Suwaroff il 13 maggio 1799
emanò da Tortona il suo mistico proclama al popolo piemontese è
segno che ancora fosse conservata nel Castello la reliquia? Era un incitamento
a difenderla? Oppure era una preparazione del suo ritorno nel luogo che per
tanto tempo l’aveva accolta? E' per questo motivo che Napoleone, furioso
per non avere trovato ancora la Coppa, distrusse fin dalle fondamenta, e con
lento metodo, il grande, ma da tempo militarmente inutile, Castello di Tortona?
Ci sono ancora molte vie in Tortona verso il mistero: i sotterranei del Castello,
le cripte delle Chiese più antiche, i documenti sulla storia della Città,
l'iscrizione in latino nella corte di Rosano ( chi la legge intuirà la
gloria della Rosa), e il misterioso mausoleo dell'Imperatore Majorano sito nella
Chiesa di San Matteo ( un cubo ermeticamente chiuso di 9 metri per 9) et cetera...
Cosa custodisce il Mausoleo da millenni?Altri indizi della tesi interpretativa
qui sostenuta sono nascosti nei significati dei nomi. Arth-ur: significa in
celtico: Orso, e indica la costellazione dell'Orsa maggiore, e oltre a ciò
contiene la radice in sanscrito "UR",
identica in greco e latino, significante: "fuoco" (pyr-purificazione,
iride, urano, uro, ira, curia, ecc.), inteso come segno di potenza, ardore,
audacia, zelo e sacro impeto. Ebbene abbiamo accennato a come Tortona e le sue
sette frazioni (che erano un tempo forti o domus romane fortificate) rappresentino
la predetta costellazione, con la stella polare che coincide con la Città
del Leone della Rosa. La stessa radice sanscrita-greca-latina si ritrova nel
nome "Cur-one", valle e fiume prossimo a Tortona, nel nome "Iria"
cioè l'attuale fiume Scrivia che con i suoi flutti impetuosi difendeva
la Città, e nel nome "Lig-ur-ia", ove "Lig" deriva
dalla divinità celtica Lug, guerriero celeste munito di fulmine e lancia
(simile simbolicamente a San Michele). Anticamente Derton possedeva anche un
secondo nome: Antilia o "Antiria", cioè davanti all'Iria (cioè
davanti al fiume ma anche: davanti al Fuoco) Tutto ciò conferma l'importanza
sacrale di Tortona e la diffusione del culto del Fuoco, di Vesta e di Giove
(sulla sommità del Colle Savo s'alzava il Tempio di Giove capitolino)
La tradizione guerriera dei Liguri si perpetuò ed accrebbe sotto le insegne
di Roma! "Parsifall" significa: valle dei Persiani o Valle dei giardini,
cioè la Val Curone, in cui risiedevano comunità di Armeni e di
ebrei, ed era famosa per la sua vegetazione lussureggiante. "Parsifall"
ricorda il rapporto della sacra Coppa con i Re Magi e l'Oriente.Queste considerazioni
non implicano un voler screditare la nordicità del ciclo bretone, ma
dimostrano che non esistono contestualizzazioni esclusive per gesta cavalleresche
che possono aver tratto ispirazioni da più regioni e da più epoche.
“Ginevra” era in realtà Genova stessa, “Monserrat”
era Monte Spineto, ( detto anche Monte Arimanno) luogo sacro e rifugio dalle
invasioni barbariche, luogo che serra la valle dello Scrivia (Iria) presso l’attuale
Serravalle. A tale proposito ricordiamo che i potenti Marchesi di Monferrato,
audaci sostenitori della Crociata e imparentati con gli Imperatori, mai vollero
conquistare Tortona ma anzi si imparentarono con le sue famiglie più
nobili. E’ evidente la profonda simbologia della parola: “Mons-ferrat”.
Approfittiamo dell’occasione anche per ricordare che molti toponimi del
tortonese contengono la parola “spina”, e ciò significava
una funzione di difesa e di relazione in rapporto alla sacra Coppa di Cristo.
La Spina difende la Rosa, cioè il Calice sacro! Oltre al precedente un
altro esempio: Spineto Scrivia, nella contea/principato del Vescovato! Dopotutto
una delle più potenti e nobili famiglie del Tortonese erano i “Malaspina”,
decantati da Dante Alighieri e di cui il Poeta fu ospite nel Castello di Oramala,
e gli Spinola. “Lionello” era Villa del Foro e Libarna. “Lionello”
significava: il piccolo Leone, i piccoli del Leone, cioè le due filiazioni
della Colonia Dertona. “Galvano” era Galgano, cioè chi, imitando
il santo cavaliere, andava in mistico pellegrinaggio verso San Michele ( di
Susa o del Gargano). La linea di San Michele partiva da San Michele in Normandia
e arrivava a Gerusalemme passando per Tortona e il Gargano. “Lancillotto”
era connesso con Asti = “Hasta” = Lancia. La Lancia non è
lontana dalla Coppa e la Coppa non è lontana dalla Lancia. Non era la
Coppa il simbolo di Lancillotto, per la Quale aveva lasciato tutto vivendo in
una perpetua cerca? Non era Asti il luogo famoso in tutta l’antichità
per la confezione di calici e coppe? Presso Frugarolo, in territorio dertonese,
nel 1300 venne affrescata la stanza di una piccola residenza nobiliare con il
ciclo di Lancillotto, dipinto mentre combatte contro i sassoni. Questo è
che la sopravvivenza epica della memoria delle gesta dei cavalieri tortonesi
romano-cristiani sotto Aureliano e sotto Maiorano contro i marcomanni. “Sarras”
era Sarezzano: luogo vicinissimo a Terdona in cui si elevava una rocca celtica
antichissima. I famosi boschi di Parsifall e scenario di tante avventure, ricchi
di selvaggina e di cavalieri che vagavano, non erano altro che i boschi della
Fraschetta (ormai aimè
non più esistenti!) luogo prediletto dai Goti, dai Longobardi e dai Franchi
per l’arte della caccia. La Tavola era la rocca stessa: tutto il forte
e la stesso borgo si sviluppa in un perfetto cerchio attorno alla roccia del
Colle Savo!Se a questo si aggiunge che sul Forte era venerata una Madonna Nera
il cui ritratto è ancora conservato nella cattedrale di Tortona e i cui
occhi trasmettono una terribile dolcezza, e se consideriamo che la posizione
astrologica di Tortona è favorevolissima, contemplando ad esempio un
dominio di Saturno nel mese di dicembre (Saturno è il protettore e dispensatore
delle ricchezze occulte, nume dell’essere e della sapienza), e se ricordiamo
che Tortona era ricchissima di acqua e attraversata da numerose sorgenti, canali,
rogge e chiuse, il quadro sapienziale è completo e rarissimo! Lo stretto
legame sussistente fra Tortona e i santi monaci irlandesi che vi giunsero (
per poi portarsi a Celle di Varzi e a Bobbio) rappresenta un ulteriore conferma
della credibilità della tesi sostenuta della vicinanza del Graal a Tortona.Non
solo il grande San Colombano ma
molti altri monaci irlandesi, scoti, britannici e bretoni giunsero nell' ager
di San Marziano per salvare tesori spirituali e anime e regni. Sugli appennini
liguri vivevano ancora comunità celtiche isolate di cui nessuno più
capiva il liguaggio tranne i monaci itineranti irlandesi.Come fu per il Regno
sacro e spirituale dei Re dei britanni fino ad Arturus così fu per il
Marchesato/contea di Tortona: un Regnum invisibile riconosciuto solo da e fra
i nobili, i cavalieri e i monaci che ne condividevano la segreta esistenza:
un vassallaggio parallelo ed autonomo, in quanto interiore e spirituale, rispetto
a quello tipicamente feudale. Dopotutto Tortona sfugge ad ogni chiara e canonica
classificazione feudale e dinastica, essendo un equilibrio perfetto fra Impero
e Papato: i Vescovi di Tortona erano conti e principi, ma la corona della Città
è del Marchesato, il territorio era lombardo e imperiale, ma nello stesso
tempo apparteneva al Patrimonio di Pietro, i nobili maggiori di Tortona erano
imparentati con l'Imperatore ma pure reggevano un Comune molto autonomo e mai
eretico!E se Merlino e San Patrizio fossero la stesa persona? Questa idea rafforza
e chiarifica ulteriormente la vocazione spirituale di Tortona. Dopotutto molte
sono le concordanze fra le loro figure e storie: entrambi nascono britanni,
anzi romano-britanni, entrambi viaggiano molto e vivono a lungo, entrambi sono
figure di profeti-sacerdoti ed esorcisti, entrambi sono di nobile stirpe e consiglieri
di re, entrambi vivono molti anni in Gallia ( San Patrizio dal 415 al 432) per
poi ritornare in Britannia, entrambi erano fra gli ultimi a conoscere molto
bene la cultura celtica e in particolare i riti dei Druidi. C'è da considerare
infine che il periodo storico coincide perfettamente: dalla partenza delle legioni
romane nel 410 al predominio dei sassoni in Inghilterra. San Patrizio aveva
19 anni nel 410 e 59 anni nel 450; data fatidica: l'unica data certa del ciclo
epico, l'anno in cui Galaad, il Cavaliere vergine perfetto, si siede sul seggio
periglioso portando a compimento le profezie ed iniziando le ultime imprese
della cavalleria spirituale, che porranno fine ai tempi avventurosi, in cui
Cristo aveva chiamato eroi e e cavalieri a lottare contro le ultime forze infere
che ancora vagavano per la terra e tentavono invano di resistere al nuovo Regno
di Cristo. Pochi anni dopo il 450 inizò il crepuscolo del Regno britannico
e Arturus, ferito ma non vinto nè morto, come i Re pescatori, si occultò
nell'invisibile da dove aspetta, con Federico II° e Merlino, il tempo previsto
per risvegliarsi, novelli Elìa, al combattimento finale contro le forse
del male. Se Merlino è San Patrizio allora non solo dal sud ma anche
dal nord la Coppa segnò la via passando per Tortona. Si vuol sostenere
che i nomi dell’epica cavalleresca medioevale non risultano tanto nomi
specifici di persone, quanto soprannomi di battaglia, quali nomi-segni ideali,
quali tipologie interiori, quali maschere simboliche che più persone
e più generazioni hanno indossato e incarnato, in connessione con determinati
luoghi spirituali e azioni rituali! Questa tesi non vuole giungere alla conclusione
che non siano esistiti personaggi storici cavallereschi e militari nel primo
medioevo che abbiano ispirato tradizioni eroiche (Artù-Lancillotto-Parsifall-Galvano),
e neppure vuol sostenere che non siano accadute in Britannia, Bretagna, Provenza,
Svizzera, Spagna e Persia, gesta cavalleresche poi idealizzate caratterizzate
dalla fusione fra le ultime sopravvivenze di un mondo romano cavalleresco e
militare con un Cristianesimo fresco e mistico-eroico; ma semplicemente si vuol
sostenere che anche il territorio Tortonese si inscrive a pieno titolo in questo
panorama simbolico, in questa geografia sacrale che tanta ispirazione diede
all’epos e alla religiosità occidentale. Una storia ancora viva:
chi si rechi in prossimità della Torre–mansione del ponte di Cassano
sullo Scrivia ancora sente palpitare una forte sacralità del luogo.Una
storia ancora vicina: pochi anni dopo la seconda guerra mondiale ad Angela Volpini,
allora bambina, in Casanova Staffora (PV), in Diocesi di Tortona, apparve la
Santa Coppa di Cristo.
http://digilander.libero.it/vicit.leo/index.htm
La Morte di Federico II e
la Maledizione degli Hohenstaufen
Il pensiero della morte non pare di quelli che frequentassero la mente di Federico di Svevia. Eppure quest'uomo, che per tutta la vita si comportò come se non dovesse morire mai, si era preparata la tomba da qualche tempo: un sarcofago di porfido rosso fatto venire a Palermo da Cefalù dove l'aveva trovato vuoto, con le tombe che il nonno Ruggero II aveva dato a sé e ai suoi, quando vi aveva eretto quel duomo, in scioglimento d'un voto. Una specie di timpano triangolare sormonta la base a semicerchio poggiata su quattro leoni. Strani simboli pagani decorano quell'arca imponente. La salma vi fu deposta dopo una sosta a Messina. Al saio dei cistercensi che primo la ricopri, furono sostituiti gli ornamenti imperiali. Sul camice di lino dal collare e i polsini adorni d'iscrizioni in caratteri cufici, una funicella di seta scarlatta ricoperta dal manto ricamato di perle e chiuso da un gioiello prezioso. Anche le scarpe, di seta rossa; alla mano destra l'anello d'oro con un grosso smeraldo; a lato, il cinturone in oro e argento che sostiene la spada decorata. Sul capo una corona sobria, simile a cuffia, di bronzo e d'oro; deposto vicino alla testa il globo imperiale d'oro, adorno d'un cerchio di piccoli smeraldi e di una perla enorme. La tomba fu aperta nel 1781. Il volto era ben conservato "come quello d'un santo" osservò uno dei presenti. Si prese nota del contenuto, si fecero rilievi e disegni. Ancora nel 1962 fu compiuta un'altra ricognizione. La leggenda che diceva Federico sprofondato col cavallo nell'Etna era dimenticata. La morte tolse a Federico di Svevia la possibilità di vincere. Ma il trionfo dei suoi nemici non durò a lungo. "L'idea dell'indipendenza dello Stato dalla Chiesa - scrive Benedetto Croce - fu ripresa da altri sovrani di Europa e dagli stessi comuni, non più nella forma dell'invecchiato Impero, né dell'assolutismo cesareo-bizantino-islamitico, ma dei nuovi stati nazionali, i quali, volessero o non volessero i pontefici, si ricordarono sempre di Federico svevo, e, con Dante, lo dannarono e lo ammirarono, e, per conto loro lo imitarono." Quello da lui portato al fastigio fu il primo stato opera d'arte, com'ebbe a dire il Burckhardt. Di Federico - ricorda ancora il Croce - "sono state sempre e giustamente celebrate la legislazione ricondotta ad altezza romana e a sistema, l'amministrazione e la giurisdizione commesse a ufficiali regi,... il favore alla cultura e all'intelligenza, la costante tendenza razionalistica opposta al superstizioso e barbarico e passionale procedere che ancora perdurava in altre parti d'Europa". L'Italia perse con lui, per secoli, la speranza dell'unità. Il nascere attorno a lui di leggende che soltanto in seguito furono riferite al nonno Barbarossa mostra quale alta luce promanasse al mondo dal fascino della sua idea imperiale. "Distruggere sino agli ultimi discendenti questa razza di vipere che mai più cingeranno corone imperiali e reali" era stato il giuramento di papa Innocenzo IV, nel condannare, con Federico, i suoi figli e nipoti. E la tremenda condanna doveva compiersi nel giro di pochi anni dalla morte dell'imperatore. Abbandonata la lotta in Germania, Corrado IV scendeva in Italia a riconquistarvi la Puglia e Napoli. La morte lo colse a Lavello il 10 ottobre 1253; lasciava un figlio di due anni, Corradino. Enrico, il giovane figlio che Federico aveva avuto da Isabella, la sposa inglese, era morto anche lui, un anno dopo suo padre. A tener alta la bandiera degli imperiali rimaneva il solo Manfredi. Sedici anni riuscì a contrastare le forze del Papa, padrone del regno e di parte dell'Italia settentrionale finché anche lui dovette soccombere. Andò incontro alla morte il 26 febbraio 1266 sul campo di battaglia di Benevento, nell'estrema lotta contro Carlo d'Angiò, tanto diverso dal suo santo fratello, il re Luigi IX di Francia. L'aveva chiamato, dandogli in feudo il regno di Sicilia, il francese Gui Faucoi, Clemente IV, eletto alla cattedra di Pietro nel febbraio 1265. Era il terzo pontefice romano dopo che Innocenzo era morto, nel 1254, ma la maledizione contro gli Hohenstaufen non si spegneva. Né miglior sorte toccava più tardi al figlio di Corrado. A quindici anni era sceso dalla Germania a reclamare l'eredità del grande nonno, di cui la leggenda diceva che non era morto, ma dormiva il lungo sonno, in attesa di risorgere a restaurare la gloria dell'Impero. Caduto prigioniero a Tagliacozzo il 21 agosto 1268, Corradino era fatto decapitare da Carlo d'Angiò sulla piazza del mercato di Napoli, il 29 ottobre dello stesso anno. Aveva sedici anni. Testimone lontano di quei tragici eventi era l'unico figlio superstite di Federico, Enzo, nella sua dorata prigionia di Bologna. Le sue poesie s'erano fatte d'anno in anno più tristi: Và, canzonetta mia... Salutami Toscana quella ched è sovrana in cüi regna tutta cortesia: e vanne in Puglia piana, la magna Capitana, là dov'è lo mio core nott'e dia. Alla sua morte, nel 1272, i bolognesi lo onorarono come un re. Il sogno di Federico era ormai un ricordo lontano. Con lui era scesa nella tomba quella forza che sola avrebbe potuto unire l'Italia e, insieme, era morto, come sistema effettivo di governo, il Sacro Romano Impero.
www.tanogabo.it/letture/Federico_II_morte.
sito a cura di Gilberto Quattrocchio e Patrizia Prodan
altri siti di Gilberto:
siti degli amici di Gilberto:
© copyright Olaf GILBERTO QUATTROCCHIO - PATRIZIA PRODAN