IL MISTERO DEL SATOR

Fino agli inizi del Novecento,in alcune province tedesche si attribuiva al Sator il potere di guarire dall'idrofobia' :
impresso su un'ostia lo si faceva inghiottire a chi era stato morsicato da un cane rabbioso.Un altro magico potere che. nel Medioevo, si attribuiva alla frase palindroma era quello di far ballare le ragazze: lo si legge, ad esempio, nel trattato di magia De secretìs mulierum. de viriulis herbarum attribuito ad Alberto Magno.
Un incantesimo anglosassone. probabilmente medievale, aveva al suo centro la celebre frase palindroma. ed era recitato per ottenere un parto senza dolore:

SATOR E INQUISIZIONE

Ma il Sator fu scoperto anche in un posto dove veramente nessuno se lo sarebbe aspettato: sul sigillo dell'Inquisizione spagnola! Nel 1905 fu pubblicato a Tolosa il libro di Emanuel Delorme Les emblemes de l'Inquisition. In quest'opera, lo studioso annunciò di avere scoperto nel Museo Etnologico di Lisbona un sigillo dell'Inquisizione spagnola che recava il quadrato del Sator! Inoltre, lo stesso Delorme trovò una medaglia, sempre dell'Inquisizione. che portava su un lato il notissimo simbolo del terribile tribunale ecclesiastico: la Croce coronata posta tra un ramo di olivo (che simboleggia la misericordia divina) e una spada sguainata (che raffigura la spada di Dio che punisce gli eretici); sull'altro lato era inciso il quadrato magico letterale del Sator. Cosa ci faceva un emblema magico su una medaglia dell'Inquisizione? La sua presenza era inspiegabile anche ammettendo che il Sator fosse legato in qualche modo a concetti religiosi.
II Delorme elaborò una teoria: il quadrato magico era stato originariamente ideato come segno di riconoscimento tra i mèmbri dispersi di una setta eretica. E quale poteva essere stata questa setta perseguitata?
Nell'idea del seminatore, dell'aratro, della terra, delle messi era rappresentato l'atto unico che si propaga dal mondo superiore al mondo inferiore per infondervi la vita: nel Sator era racchiusa la formula della gnosi ebraica espressa da Aba Ezra, precursore diretto di Spinoza: «Tutto è nell'Uno in potenza; l'Uno è nel Tutto in atto».
Il Sator dunque, narrava in estrema sintesi il concetto centrale della gnosi di scuola ebraica: l'eterno svolgersi della vita permeata dallo spirito divino: un concetto che la Chiesa cattolica ha sempre rifiutato e che l'Inquisizione ha violentemente represso, perché esso considera il divino immanente al materiale. La colpa estrema del Sator era, insomnia, quella di difendere e propagare il panteismo.
Com'è noto, lo gnosticismo era per l'Inquisizione il tipo perfetto dell'eresia, anzi la sorgente unica delle diverse eresie: pertanto il Sator (quadrato gnostico) poteva giustamente essere scelto come emblema dell'eresia.
Perciò, come l'Inquisizione aveva impresso su un lato delle sue medaglie la Croce coronata, ovvero il Credo della fede cattolica; così aveva scelto per il rovescio il Sator, cioè il Credo dell'eresia. A prova di questa ipotesi iconologica, Delorme faceva notare che nelle processioni degli auto da fè, a coloro che si erano pentiti, i preti mostravano il gonfalone dell'Inquisizione al cui centro spiccava la Croce coronata. Ma a quelli che non avevano abiurato, e che venivano condotti al rogo, veniva mostrato l'altro lato dello stendardo, su cui erano disegnati simboli di dannazione e disperazione: i due lati del gonfalone erano distinti come quelli delle medaglie; da una parte le immagini della santità, dall'altro quelli dell'inferno. Dunque, il Sator sarebbe stato un quadrato letterale gnostico.

Il SATOR pompeiano

Nel 1925 una fortuita scoperta archeologica mise in dubbio tutto quanto si era creduto fino a quel momento a proposito del palindromo misterioso. Il 5 ottobre di quell'anno, durante degli scavi a Pompei, nel peristilio della casa di Paquio Procolo, sopra un frammento dell'intonaco parietale della decorazione dell'ambulacro meridionale, l'archeologo Amedeo Maiuri scoprì un pezzo della famosa iscrizione, ma non riconobbe subito che si trattava del sator. Il 12 novembre 1936 nel corso di nuovi scavi sotto la direzione di Matteo della Corte si scoprì il quadrato magico inciso sulla scanalatura di una colonna del portico interno occidentale della grande palestra pompeiana. Questo ritrovamento risulta a tutt'oggi il più antico che sia stato effettuato, e per questo il Quadrato del SATOR è stato anche chiamato «Latercolo Pompeiano». Tale scoperta pose fine alla teoria cristiana; se, infatti, si poteva ancora ipotizzare la presenza di una primitiva colonia cristiana clandestina a Pompei in quegli anni, veniva a cadere il senso dell'interpretazione del Grossner. Infatti, la A e la O che rimanevano ai lati della croce non potevano che riferirsi al punto dell'Apocalisse in cui San Giovanni scrive: «Io sono l'Alfa e l'Omega, l'inizio e la fine, colui che è, che è stato e che sarà». Ma la diffusione dell'Apocalisse nell'Italia centrale avvenne, secondo studi attendibili, verso gli anni 120-150 d.C., ed era quindi impossibile che tale concetto fosse presente già prima del 79 d.C.
Queste due scoperte inattese gettarono Io scompiglio fra archeologi e storici. Infatti, se - come molti credevano - il Sator era una crux dissimulata, cioè un segno segreto dei primi cristiani, la sua presenza a Pompei era assolutamente incomprensibile, poiché noi sappiamo da fonti sicure, come Tertulliano ad esempio, che non vi erano cristiani a Pompei fino al 79d.C- data della sua distruzione per l'eruzione del Vesuvio. Inoltre, veniva confutata l'interpretazione del Sator come pater noster accompagnato da Alfa e Omega, perché l'Apocalisse di San Giovanni, nell'anno della fine di Pompei, non era ancora conosciuta in Italia Meridionale, dove si diffuse non prima del 130 d.C. Infine, non si poteva nemmeno pensare che il Sator fosse stato graffito dopo l'eruzione che cancellò Pompei sotto un mare di lava, perché gli strati dei sedimenti sopra la colonna furono rinvenuti perfettamente intatti. La scoperta fatta a Pompei costrinse gli studiosi a due ipotesi, entrambe enigmatiche e piene di conseguenze problematiche: o il Sator non è un segno paleocristiano, o a Pompei esisteva una comunità cristiana prima di quanto si credesse.
Di fatto, la questione rimane ancora aperta. Molti tra studiosi, ricercatori, enigmisti o semplici curiosi si arrovellano ancora oggi nel cercare di dare un'interpretazione nuova al quadrato. Per concludere, invece, la storia del Quadrato, bisogna citare l'ultima scoperta, in ordine di tempo, avvenuta nel 1978 in Gran Bretagna, a Manchester. Un frammento di un'anfora portata alla luce durante alcuni scavi archeologici mostra, infatti, le cinque parole del quadrato magico disposte a partire dalla parola ROTAS (versione speculare del quadrato). Il reperto è databile attorno al 185 d.C., ed una targhetta esplicativa nel museo in cui è esposto c'informa che si tratta della più antica attestazione della presenza cristiana in Gran Bretagna, nonostante la tesi di Grossner sia stata comunque confutata.

La connessione con i Templari


In Italia il Quadrato Magico si ritrova in parecchi luoghi, oltre a Pompei. Anche in numerose località europee è possibile rintracciare il Quadrato. Si parte soprattutto dalla Francia, dove il SATOR è presente nella chiesa di San Lorenzo a Rochemaure , in una vecchia casa di Le Puy (Haute-Loir), nei castelli di Chinon (Indre-et-Loire, dove tra i numerosi graffiti presenti, di origine templare, si trova anche a Jarnac e di Gisors, e nella Maison de justice di Valbonnais. In Spagna lo si trova tracciato presso il santuario di San Giacomo di Compostella, celebre meta di pellegrinaggi medievale; in Ungheria, inciso su una tegola della "villa publica" di Altofen (la vecchia Buda), insieme alla frase "Roma tibi salutas ita".
2 - Il SATOR nel Castello di Jarnac (dal sito: Jarnac Champagne)
Molte di queste località, soprattutto in Francia, furono possedimenti dei Cavalieri Templari; la prof. Bianca Capone, sulla base di attenti studi personali, ha ipotizzato un legame tra il magico quadrato ed il famoso ordine monastico-cavalleresco: sembra infatti che i Cavalieri adottassero questo simbolo per contrassegnare dei luoghi particolari o per trasmettere delle preziose informazioni esoteriche in forma codificata. Anche dal mio censimento risulta che la maggior parte delle presenze del quadrato sul suolo italiano è databile attorno al XII-XIII secolo e che nelle dette località è possibile attestare la presenza dei Templari o, comunque, dei Frati Cistercensi, che con i Templari erano in stretto rapporto.
3 - Il SATOR circolare di Valvisciolo
Tale tesi può essere ulteriormente rafforzata se si considera il particolare esemplare di SATOR che si trova presso l'Abbazia di Valvisciolo, a Sermoneta (LT), che fu templare e poi rimase ai Cistercensi. In tale luogo, infatti, si ha l'unica presenza conosciuta del SATOR in forma circolare ad anelli concentrici (fig. 3), nella quale viene a mancare sia l'accostamento ai quadrati magici numerici (vedi, a tale proposito, le interpretazioni esoteriche), sia la croce centrale formata dalle parole TENET. Pertanto, al di là di tutte le possibili interpretazioni che possono essere date, è indubbio che per i Templari il SATOR assumeva un significato ben preciso che per me non può essere che quello di segnalazione di un luogo dalle caratteristiche sacre ben precise, affine, in tal senso, ad altre figure simboliche come quelle della Triplice Cinta o del Centro Sacro. La recente scoperta, da me effettuata, della GEOMETRIA SACRA sul territorio laziale non fa che rafforzare tale ipotesi.

MENHIR DI RENNES LE CHATEAU - SATOR QUADRATO MAGICO TEMPLARI

Fra le alture di Rennes si trova un menhir, nella cui roccia un tempo era scolpito il busto di un personaggio non identificato, (la tradizione popolare parla del Re Merovingio Dagoberto II ). Il parroco Menry Boudet, con un gesto apparentemente inspiegabile, fece tagliare il masso, portando a valle e depositando presso la sacrestia della propria chiesa, il rimanente busto. Le pietre spaccate vengono dette "Massi d'Orlando", lo scrittore Umberto Cordier rivela che...:Si può avere la rottura spontanea di emblemi o monumenti, per una sorta di "magia simpatica" indotta. Non so se questo è il caso di Boudet, ma non escludo l'ipotesi che quella insolita azione, nasconda un rituale esoterico. Ad ogni modo, sulla nuca di quel busto, si dice che un tempo erano cesellate delle parole in lettere greche, disposte a comporre un'iscrizione a forma di palindromo, Precisamente:

S A T O R
A R E P O
T E N E T
O P E R A
R O T A S

La deduzione più verosimile della frase potrebbe essere la susseguente:
"Il seminatore dell'Aeropago detiene le ruote dell'opera". L'elegia pur essendo di origine paleo-cristiana, la si ritrova in diverso luoghi d'Europa (a Rennes le Chateau sembra che ve ne siano state ben 3), in particolare è frequente in alcuni siti templari, l'ordine era senz'altro a conoscenza del suo reale significato. S'interessarono a quel "quadrato magico" i più grandi esperti della cabala: la dottrina ebraica che esaminava il senso più intimo e segreto della Bibbia; e le ricerche su quell'enigma li ricondusse all'ermetismo. Anche i preti di Rennes Le Chateau erano dei grandi studiosi: Antoine Gelis conosceva alla perfezione la storia antica di quei luoghi, Henry Boudet era un esperto archeologo e nei suoi libri fa diverse allusioni ai misteri "Eleusini", mentre Berénger Saunière, prima di recarsi a Parigi per far decodificare le sue antiche pergamene, si dedicò ore e ore allo studio, incontrando diversi "ermetisti". Tra i tanti misteri, un vecchio documento denominato dossier "Rubant", basato su un testo datato 1308, asserisce che Filippo il Bello, quando depredò le carte della Milizia del Tempio, ignaramente s'impossessò di copie falsificate redatte dai monaci stessi molto tempo prima, proprio in previsione di un attacco all'ordine. Se è così che fine hanno fatto i certificati originali? Potrebbero essere finiti negl'archivi della Prioria di Sion? Forse i Templari vollero lasciare una "porta" aperta a chi un giorno saprà ascoltare in silenzio, il senso di quelle parole o di quei graffiti scolpiti suoi muri di vecchi castelli, oppure su alcune pietre oramai erose dal tempo.

Altre informazioni: http://angolohermes.interfree.it/simboli.html

SATOR MAGICO


Il quadrato letterale potrebbe essere stato concepito e usato in ambito magico, più che religioso: abbiamo visto infatti che per molti secoli esso venne utilizzato come strumento di azione occulta contro il morso dei cani idrofobi e contro gli incendi. Saremmo di fronte ad una specie di formula magica, come l'Abracadabra, che associava alla forza arcana delle parole la potenza delle armonie geometriche. E interessante notare che, come oggetto magico, il Sator venne impiegato per domare, per rintuzzare un grave pericolo: nel caso dell'incendio, esso viene lanciato sulle fiamme per spegnerle; nell'idrofobia, esso è creduto capace di estinguere il male. Queste pretese facoltà sembrano associate dal verbo tenet che forma la parte centrale del quadrato; tenet significa "tiene, possiede, regola, controlla". Quindi il valore magico del sator è determinato da questo: è un talismano che domina e controlla. Ma se si tratta soltanto di un talismano, le caratteristiche cristiane (come la croce centrale e il paternoster anagrammato) sono casuali? E se è un palindromo magico, a quale corrente esoterica si deve far risalire? Abbiamo visto che il quadrato appare nel I secolo dopo Cristo. Che abbia avuto o no legame con la dottrina cristiana, è comunque interessante notare che il sator venne elaborato in un' epoca di forti correnti spirituali e mistiche. La decadenza delle antiche religioni tradizionali romane e greche lasciava un vuoto doloroso che le folle dell'Impero cercarono di colmare ricorrendo a culti orientali; si diffuse rapidamente l'adorazione di Iside e di Mitra e la religiosità assunse un carattere misterico e magico come non aveva mai avuto prima. Influssi neopitagorici dall'Occidente e cabalistici dal vicino Oriente mutarono la spiritualità, per cui i rapporti numerici, le trasposizioni numerico-alfabetiche, i quadrati magici, le particolarità geometriche furono considerate prove di una realtà superiore, dimostrazioni del grande disegno dell'Universo e chiavi per la sua comprensione. Con ogni probabilità a quel tempo e a quella condizione spirituale risale la formazione del Sator; quando, per caso o dopo un lunghissimo studio, un sacerdote, un mago o un iniziato scoprì quella straordinaria sequenza di parole che, con suoni fascinosi e arcani, dava un messaggio breve ma ricco di misteriosi, imprevedibili ed inesaurubuli spunti di riflessione.

SATOR IL MISTERO DELL'ANELLO

I MONACI CISTERCENSI

San Bernardo di Chiaravalle (1090 - 1153)
Non si può parlare dell'Ordine Cistercense senza nominare San Bernardo di Chiaravalle, anche perché la figura di questo illustre santo e dottore della Chiesa costituisce l'anello di congiunzione tra i monaci Cistercensi, che grazie alla sua influenza divennero uno degli ordini religiosi più ricchi e più influenti del Medioevo, ed i Templari, la cui costituzione egli raccomandò caldamente al Papa e per i quali redasse la regola ricalcandola su quella benedettina dei Cistercensi stessi. S. Bernardo nasce a Digione, in Borgogna, nel 1090, da una famiglia profondamente cristiana. Studia presso i canonici secolari di St. Vorles a Chatillon-sur-Seine, ma rifiuta di intraprendere la carriera ecclesiastica in Germania. Si ritira invece presso il monastero di Cîteaux dove si cercava di vivere la regola benedettina secondo lo spirito originale. Il suo arrivo diede nuovo slancio e suscitò nuove vocazioni. Cinque anni dopo, insieme a dodici compagni, per fondare una nuova abbazia in una località che egli volle chiamare la Valle delle Luce: Chiaravalle. I suoi nuovi compagni erano inizialmente figli della nobiltà, poi arrivarono anche contadini e gente del popolo. I monaci facevano una vita semplice, si dedicavano all'agricoltura ed all'allevamento del bestiame, ed introdussero anche delle tecniche avanzate. Bernardo era di esempio ai suoi monaci nell'osservanza della Regola e maestro nello spiegarla. Di particolare rilievo le sue opere sull'umiltà e sull'amore di Dio. Sostenne e fece riconoscere da tutti, come legittimo successore di Pietro, papa Innocenzo II, al quale era stato contrapposto Anacleto II. Bernardo, cantore di Maria, la propose come modello di vita per tutti. Bernardo morì a Chiaravalle il 20 agosto 1153, venne proclamato santo nel 1174 e dottore della Chiesa nel 1830.
Storia dell'Ordine
Il 21 marzo 1098, equinozio di Primavera e festa di san Benedetto e, in quell'anno, anche Domenica delle Palme, ventuno monaci, con a capo l'abate Roberto di Champagne, lasciarono il monastero di Molesme per fondare, nella Borgogna francese, 20 chilometri a Sud di Digione, un nuovo insediamento monastico, che fu chiamato "Nuovo Monastero". Come sede per il suo ordine, Roberto scelse un luogo solitario chiamato Cistercium (da cui la denominazione, poi, di "Cistercensi"), l'odierna Cîteaux, e cominciò a seguire un rigido stile di vita più consono alle regola benedettina originale, il cui senso era stato fortemente alterato a Molesme. Oltre a Roberto, un notevole contributo al buon esito dell'operazione venne dato da altri due religiosi, Alberico e Stefano, considerati co-fondatori dell'Ordine. Alberico, infatti, ottenne la concessione della protezione apostolica su Cîteaux dal papa Pasquale II con la bolla "Desiderium quod" dell'aprile 1100, che assicurava al Nuovo Monastero assoluta indipendenza da Molesme. Stefano si preoccupò di conservare lo spirito del rinnovamento cistercense promovendo disposizioni tese alla salvaguardia della povertà e della quiete monastica. Nel XII secolo, grazie anche ai contributi di San Bernardo, l'Ordine era diventato quasi una potenza temporale per l'estensione delle sue proprietà e per la sua influenza, conquistate grazie alla capacità di adattamento e di valorizzazione del propri beni. Questa agiatezza, in seguito, diventerà la causa della loro decadenza. In questo periodo, comunque, nascono le più grandi ed importanti abbazie cistercensi, in Italia, ma soprattutto in Francia, dove vengono costruite 11 cattedrali le cui ubicazioni, segnate su una carta geografica, formano, curiosamente, il disegno della costellazione della Vergine. Dal XIII secolo, con il diminuire del reclutamento, è necessario ricorrere ai canoni di affitto per continuare a beneficiare dei terreni e, poco a poco, si prende l'abitudine di vivere non più del lavoro delle mani, ma delle rendite delle proprietà dei monasteri. Tuttavia, malgrado la nascita degli Ordini mendicanti, quello cistercense continuerà la sua espansione e, all'inizio del XIV secolo, comprenderà 725 case di monaci. Il XIV e il XV secolo saranno difficili da vivere per tutta l'Europa, compresi i monaci cistercensi; i "grandi" di questo mondo confiscano i beni ecclesiastici, i conflitti armati si allargano a tutta l'Europa, le grandi epidemie diffondono, dappertutto, i loro danni; infine, la nascita dell'Umanesimo contribuisce, da parte sua, al crollo della società medioevale, mentre nuove correnti spirituali si sviluppano in modo informale e danno vita a dei gruppi come quelli delle "beghine" e dei "begardi" che vivono nelle città e si dedicano alla meditazione e alle opere di carità. Nel XVI secolo non figura nessuna nuova fondazione, ma la Riforma metterà in atto la scomparsa irreversibile di più di 200 monasteri, mentre la maggior parte degli altri saranno devastati. Nello stesso periodo compare il sistema commendatario che indebolisce l'Ordine monastico e non permette di prendere misure di risanamento in campo disciplinare o economico. La difficoltà dei tempi rende ardua la partecipazione ai Capitoli Generali. È nel XVI secolo che si affermano maggiormente le congregazioni nell'Ordine. Si tratta di monasteri che appartengono a una stessa regione e sottomessi a una medesima autorità politica e i cui superiori si riuniscono in Capitolo Generale, a intervalli regolari. Seguendo le decisioni del Concilio di Trento, che ha richiamato con fermezza ai religiosi e alle religiose i loro doveri e impegni, comincia un grande movimento di ripresa e nasce un vivo desiderio di ritorno al fervore primitivo, particolarmente nei monasteri della filiazione di Clairvaux. In questo periodo nasce l'Ordine Cistercense della Stretta Osservanza (O.C.S.O.). La riforma venne attuata soprattutto grazie all'opera di Armand-Jean le Bouthillier de Rancé, abate di Notre-Dame de la Trappe, una delle più antiche abbazie cistercensi. Per tale motivo, i Cistercensi dell'O.C.S.O. sono anche comunemente conosciuti come frati Trappisti. Il XVIII secolo, con l'Illuminismo, offre un quadro diversificato dell'Ordine: certe case sono ferventi e hanno un reclutamento soddisfacente; altre, molto più numerose, hanno solamente un numero ridotto di monaci che assicurano un minimo di vita comune nelle costruzioni, spesso immense, che danno l'illusione di una grande prosperità. In Germania e nell'Impero Austro-Ungarico è il periodo della grande fioritura del Barocco, ma è anche il periodo del "giuseppinismo", nel corso del quale, per sfuggire alla chiusura di cui sono minacciati, i monasteri accettano delle attività annesse e, fino ad allora, poco praticate dai Cistercensi: parrocchie, scuole, e così via. È in questo contesto che scoppia la Rivoluzione Francese, la quale giungerà alla decisione della soppressione di tutti i monasteri. I monaci sono espulsi, alcuni di essi moriranno martiri nei barconi, i beni conventuali sono confiscati e venduti dallo Stato. Gli eserciti della Rivoluzione e, in seguito, quelli dell'Impero generalizzano il movimento nell'intera Europa, tra il 1789 e il 1810. In questo contesto, estremamente difficile, c'è tuttavia, un gruppo di monaci dell'Ordine che sotto la guida di Agostino de Lestrange, maestro dei novizi della Trappa nel 1789, vivendo una lunga "odissea" che li condurrà sino alla Russia, riesce a tenere viva la vita cistercense in un certo numero di fondazioni, sparse in tutta l'Europa. Dalla restaurazione della monarchia francese - 1815 - alcuni membri di questo piccolo gruppo, riprendono la vita monastica (in Francia e Belgio) e danno origine a una nuova rinascita monastica caratterizzata da una grande generosità, da un intenso fervore spirituale. Questo rinnovamento si attua malgrado una grande precarietà materiale ed è segnato da un senso profondo dell'ascesi e della riparazione degli abusi commessi dalla Rivoluzione Francese. In altre parti d'Europa la situazione è diversa. I monasteri dell'Ordine riprendono vita in Austria, Ungheria e Italia, mentre in Spagna, Portogallo e Svizzera sono vittime di politiche settarie - conseguenze tardive della Rivoluzione Francese - e spesso costretti alla chiusura. Nel 1892, sotto il pontificato di Leone XIII, la maggior parte dei monasteri situati in Francia e in Belgio, quelli usciti dall'"odissea" di cui si è parlato, si raggruppano e formano "L'Ordine Cistercense di Nostra Signora della Trappa", mentre gli altri monasteri cistercensi, raggruppati in diverse congregazioni formano "Il Sacro Ordine di Cîteaux". Nel 1898, in occasione dell'ottavo centenario della loro fondazione, i Cistercensi riformati hanno la possibilità di riscattare l'abbazia di Cîteaux e di farvi rifiorire una comunità. La fine del XIX secolo e il XX secolo sono stati un periodo di persecuzione per i monasteri cistercensi che devono vivere delle ore difficili in Francia e che sono vittime di totalitarismi che colpiscono tutta l'Europa dell'Est e l'Estremo Oriente, causando la soppressione di molti monasteri e provocando la testimonianza di numerosi martiri della fede. Nel 1995 i due ordini monastici l'Ordine Cistercense e l'Ordine Cistercense della Stretta Osservanza si condividono il giusto titolo di Cîteaux. A questi due rami si ricongiungono diverse famiglie religiose di ispirazione cistercense. L'Ordine Cistercense comprende 12 congregazioni che raggruppano in totale 77 monasteri di monaci e 63 monasteri di monache (1014 monaci e 966 monache nel 1993).
Testo tratto dal sito dei Cistercensi: www.cistercensi.it

A PROPOSITO DELL'ASSEDIO DI TERDONA RACCONTATO DA "BAUDOLINO DE' AULLARI"

TRATTO DAL LIBRO DI UMBERTO ECO -"BAUDOLINO"- (file mp3 free dowload)

LETTO E INTERPRETATO DA PAOLO DE MANINCOR SU MUSICA DI GILBERTO QUATTROCCHIO

CURIOSITA' DI TERDONA OGGI TORTONA

La città dei tre doni e la Santa Coppa di Cristo

STORIA DELLA COPPA

“…chi si mantiene puro sarà un vaso nobile...” ( II° Tim. – 20,21) Solo chi vuol esser ed è cavaliere di Cristo può esser chiamato ad avvicinarsi alla gloria della Coppa, ma sappia che non otterrà la corona se non avrà ben combattuto. La Coppa infatti passa per la nave e per il sepolcro, per il cuore e per la pira, per il pesce e per la roccia.Chi reca in sé il nero il bianco e il rosso non è lontano dal verde della Coppa.E così chi conosce la fratellanza fra le quattro operazioni – Seguiamo la scia del sangue reale – “(San Brandano) .La santa Coppa fu intagliata dagli angeli per ordine di Dio e da Lui donata per le nozze di Adamo ed Eva e offerta ponendola sulla roccia presso la quale fu creato il nostro progenitore. Il suo colore è il verde. Un verde che fiammeggia di vermiglio e luce di luce bianca. Chi porta in se il nero il bianco e il vermiglio non è lontano dal verde della Coppa. Persa l’amicizia con Dio la Coppa restò nell’Eden presso l’Albero della vita e fu recuperata da Seth quando Dio gli concesse di ritornare per 40 giorni nel Giardino d’oriente La Coppa fu custodita e tramandata dalla stirpe santa: da Enoch a Noè, da Sem a Melchisedek, e Abramo fino a Giuseppe e Mosè. Da Elia a Davide e Salomone fino agli esseni e a Giuseppe d’Arimatea: così ritornò nelle mani di Colui che l’aveva creata. La Coppa passò all’Impero Romano e ai Pontefici: quando non ne era degno l’Imperatore del momento permetteva di essere custodita dal Pontefice e viceversa. Quando nessuno era degno ritornava nel suo Cielo o appariva a spiriti eletti e a santi. La Coppa è la radice buona della terra, il vascello che porta dal castello all’Eden terrestre, il Cuore del cuore, il monte santo, il manto santo, la pienezza che ci svuota, la sete che ci sveglia e sazia, la corte nuziale, l’origine delle imprese, ardore che infiamma il fuoco, la pietra di ogni fenice. Nel medioevo lo spirito di molte famiglie nobili palpitò della Coppa e fu da Lei ulteriormente nobilitato, fra esse: Merovingi, Malaspina, Monferrato, Montefeltro, Savoia, Hoenstauffen, Angiò, Este, Gonzaga, Lorena, Asburgo, fino a Eugenio di Savoia, Joseph de Maistre e lo Zar Alessandro . Oltre a ciò molte opere letterarie celano evidenti segni della gloria della Coppa: Bandello, Vaqueiras,e soprattutto i quattro pilastri aurei della nuova tradizione occidentale: “Gargantua e Pantagruel”, “ Don Chischiotte”, “Gesusalemme liberata”, e “Orlando furioso”. Chi non li vede continui a non vederli. Nello stesso modo molte città e grandi santi hanno contemplato la Sua sapienza, fra essi: San Giovanni, San Longino, Santa Maddalena, S. Vincenzo Ferreri, S.Giovanna D’Arco, S. Carlo Borromeo, Santa Teresa d’ Avila, San Padre Pio. La coppa è tre volte santa: per l’origine, l’autore e la fattura perfetta, per la santificazione durante l’ultima e la prima Cena, e per la seconda definitiva santificazione durante la Croce e la deposizione. In lei sono custoditi e trasmessi i segreti del Re, del Regno e del Santissimo Sangue di Cristo. Chi vuol penetrare il velo d’argilla, chi vuol oltrepassare con santa audacia l’ombra dell’occaso conoscendo il punto di contatto fra Spada, l’osso e l’animo e accostarsi al velo celeste allora inizi a meditare su queste sette verità sul Sangue reale: a) è uno e infinito e non muta mai sostanza b) più si dona più s’accresce, più si sparge più raccoglie c) viene da ferita che sana e s’effonde senza violenza d) si manifesta dall’invisibile pur essendo vero sangue e) resta senza consumarsi, anzi consuma chi l’accoglie assimilandolo a Sé f) è l’aria dell’aria, il fuoco del fuoco, la terra della terra, l’acqua che disseta e lava l’acqua, l’origine del vento, la ragione della cerca,la corda del rotolo, e conosce sia ciò che muta che ciò che non muta g) è Uno ma molti vi partecipano, e resta Uno; …. Tortona non è altro che un'altra Chinon, Colieure, Aquila, Le Puy, Otranto, Siòn, Grado, Spalato, Tomar, Orvieto, Aci reale, Betania, Gorizia, Aosta, Colonia, Jesi, Monza, Roseto, Fecamp,Arles, Orange, Gradisca, ecc. ecc., pertugi per entrare nella terra buona circondata dall’acqua calma ove pesca il ricco e ferito Re pescatore. E queste buone terre sono simili alla dolce e terribile Arcadia e alla nobile Tebaide, e simili anche alla terra verde dell’estremo nord. Solo chi scava sotto la sua casa trova il buon vino che riceve per primo la luce dell’alba e del Sole.. La Città del tre doni è un antica testa di ponte il cui innesto ancora sopravvive! Ecco la sintesi perfetta di Liguria, Lombardia e Piemonte! IL bestiario della coppa si ritrova nella colomba, nel gallo, nell’unicorno, nell’aquila, nella salamandra, nel leone, nelle api, ne pesce e nel cervo. Nella flora: la rosa, il gladiolo, il giacinto, il biancospino, il cedro e l’olmo.".... Come in un vaso d'argento si conserva un aureo monile" ( San Colomba).


DERTONA-TERDONA (TRE DONI) - LA SANTA COPPA


La Santa Coppa di Cristo fu custodita in Tortona dal 410 fino certamente all'epoca di Federico II°. La storia di questo meraviglioso tesoro materiale-spirituale segue le linee invisibili della storia della salvezza.Fu un oggetto creato dagli angeli su ordine di Dio e poi donato da Lui ad Adamo in occasione della creazione di Eva e dell'unione dei progenitori. Oggetto dunque sia materiale che spirituale, carico dei carismi di Dio. Fu l'unica cosa che Seth tornò a riprendere nell'Eden durante i 40 giorni concessigli da Dio, e fu poi tramandata da Seth in poi attraverso la stirpe santa: da Enoch a Noè, da Sem a Melchisedek Re di Salem che la donò ad Abramo. Seguì la stirpe di Abramo fino a Mosè che la riportò in Terra santa e veniva custodita nella Tenda della testimonianza, nell'arca dell'Alleanza e con Salomone nel Tempio di Gerusalemme. Fattane una copia per il Tempio, fu poi affidata ai Magi caldei e da loro portata al Dio-bambino nel giorno dell’Epifania per poi affidarla agli Esseni che la custodirono in una grotta nel deserto. Giunse infine definitivamente a Colui al quale era destinata: il nuovo Adamo celeste, il Cristo, il restauratore dell'Alleanza con Dio, e l'Iniziatore della nuova stirpe eletta. Fu custodita dalla Santa Vergine, da San Giovanni e da Giuseppe d'Arimatea. Nascosta a Gerusalemme ne uscì portata da Giuseppe per essere custodita nella Chiesa di Efeso e nelle sette Chiese d'Asia sotto la vigilanza di S. Giovanni. Passò anche in Armenia per poi tornare in Gerusalemme quando non ci fu più alcun pericolo per i cristiani. Fu sepolta vicino al Santo Sepolcro e lì ritrovata dall'Imperatrice Elena e portata a Roma. Era custodita nel palazzo imperiale del Palatino. Durante l'apostasia dell'Imperatore Giuliano fu trafugata e messa sotto la custodia della Chiesa nel Santa sanctorum del Laterano. Una delle proprietà della Coppa era ispirare la visione del futuro e aiutare i cristiani a sfuggire alle persecuzioni. La Coppa stessa si difende dalle violenze e dalle profanazioni: oltre a ciò possiede il potere di apparire e scomparire quando non vi sono custodi umani degni. Per questo non ha senso cercarefisicamente tale mistico oggetto, ma ha senso solamente cercare le tracce simboliche e storiche di tale mistero divino. L'Imperatore Maiorano fu ucciso a Tortona in rapporto con la sacra coppa, della quale per primo ne volle, ideò e preparò la custodia in Dertona. In ogni luogo ove passò ne fu fatta un'imitazione onorevole che ne esprimeva un tratto spirituale e simbolico. Fu anche a Valenza in Spagna, ove è conservata una sua sacra imitazione, e pure a Genova. Nel 410 mentre i barbari stavano per invadere Roma, fu fatta fuggire a bordo di una nave guidata da ufficiali romani scelti e fedeli che la portarono a Genova e attraverso gli appennini liguri a Tortona, nelle segrete del castrum terdonensis. Da allora Genova iniziò ad essere soprannominata "Ianua" perché per essa passò la Coppa rivelando i suoi misteri e prodigi, e da allora Dertona fu chiamata Terdona per via della presenza di tale tesoro. Non è credibile che la mutazione del nome sia stata una mera corruzione linguistica: si tratta di nome dalla struttura unitaria e semplice rimasto inalterato per millenni, mentre “Terdona” manifesta una ricchezza di significati e messaggi simbolici impressionante e corrispondente alla tesi che qui si espone! Non è casuale che tale periodo storico è quello in cui inizia l’epos dei cavalieri cristiani. Perché fu scelta Tortona? Perché era ancora un baluardo di romanità intatta ed invitta in un mare di caos e contaminazione barbarica e pagana, perché il suo castello era munitissimo e difficilmente prendibile e non era ancora stato conquistato né profanato dai nemici, perché era chiamata "piccola Roma" per i suoi sette colli, e possedeva la stemma del leone derivante dalle legioni romane che sempre vi stanziarono, perché era la più antica colonia romana del nord, perché era città non appariscente e non opulenta ma solamente militare e famosa per la sua fedeltà a Roma. Come dicevamo la città cambiò il suo nome cioè mutò e si arricchì l'essenza spirituale del luogo. Già è notevole il fatto che il nome celtico non fu alterato da Roma ma perpetuato: un segno di grande rispetto e in pochi anni dalla colonizzazione romana era già "città insigne"! Il suo nome celtico "Derton" (luogo alto/luogo forte) da cui la fedele latinizzazione "Dertona", fu reinterpretato profeticamente come "Terdona", cioè "la città dei tre doni", la città degna di ospitare il più grande tesoro-reliquia del Dio trinitario, il calice che conteneva il triplice dono: l'oro dell'amore e della regalità del Suo sangue, l'incenso della sacerdotalità della coppa e della sua funzione propiziatoria e rituale, e la mirra dell'immortalità
dello Spirito e del Corpo di Cristo e delle Sue reliquie. Una città che era stata fondata dai romani tre volte (sotto il Senato, sotto Cesare, e sotto Augusto) quale fedele modello di Roma era quella adatta per ricevere il segno della nuova sovranità universale trinitaria. I tre doni potevano anche essere: la Santa Coppa, la Croce di Cristo e un altra Reliquia o manifestazione divina! Si dice che in località tortonese vicino a Paderna avvenne nei primi tempi del Cristianesimo una manifestazione divina in triplice forma: di sorgente d'olio, di pietra e di sangue. E' per questo motivo che i potenti Vescovi-conte di Terdona ottennero dall'Imperatore, e da Milano, e tennero fino al 1783, un "principato" che comprendeva un piccolo territorio includente tale zona e in totale sette località disposte similmente al carro dell' Orsa maggiore, in prossimità della Città? Fu il principato del "Vescovato" un luogo di custodia della sacra Coppa? Dal tardo impero si coagulò inoltre un misterioso e profondo legame spirituale fra Terdona e Milano: Milano fu sempre sollecita ad aiutare Tortona e ne ricostruì più volt il borgo distrutto dai nemici. Un legame che passò per i primi vescovi di Terdona fra cui il nobile Innocenzio Quinzio. Era come se Milano fosse in debito morale con Tortona o come se avessero un grande interesse in comune. Quale? I santi Nazario e Celso ad esempio soggiornarono a Tortona e furono martirizzati a Milano, ma non basta. Non sono sepolti in San Eustorgio in Milano i resti dei Re Magi? Non erano tre i doni portati dai santi Re al Dio neonato? Ecco il legame! Milano sapeva del Tesoro spirituale nascosto in Terdona e garantiva l'indipendenza e la sopravvivenza di Tortona. Da quando giunse tale tesoro prodigioso allora, ancor più prodigiosamente, il Castello della la città fu risparmiato dalla distruzione e fu sempre più ingrandito, potenziato e stimato dai Re d'italia gotici e dagli Imperatori carolingi e del sacro Romano Impero. Teodorico fece del forte di Terdona il granaio per tutta la Liguria! Ancora una volta la sacra Coppa viene associata all'abbondanza e alla sicurezza della terra! In Tortona convissero pacificamente romani e goti, franchi e longobardi: tutti uniti nella venerazione della reliquia e ben influenzati dai poteri della stessa! Persino i bizantini cercano di impadronirsene e di raggiungere Tortona! Solo la presenza segreta della Santa coppa spiega l'importanza sacrale e politica di una città ben piccola e gravitante solo attorno al suo Castello. Solo la presenza di tale preziosissima reliquia spiega il passaggio per Tortona di Carlo Magno e la presenza in Tortona di figure femminili di stirpe imperiale e regale: L'imperatrice Giuditta, l'imperatrice Richilde (che fu consacrata tale dal Pontefice nel Castello di Tortona) e alla fine la Duchessa Cristierna di Danimarca, ultima duchessa di Milano. Non era la Coppa portata in processione da nobili donne? La Coppa e le sue virtù giustificano la grande e non comprensibile autonomia e nobiltà che ebbe per più di 1000 anni la contea Tortonese e anche da tale presenza spirituale invisibile ma fortissima derivò la gloria e la grandezza della sua Diocesi. L' "ager dertonensis o iriensis" era vasto e comprendeva un area in cui l'influsso di Dertona sopravvisse dal punto di vista ideale anche quando non sussisteva più un corrispondente potere di controllo militare e politico: andava da Villa del Foro (Alessandria) fino a Voghera, dal Fiume Po e da Pozzolo fino a Libarna (Serravalle) comprendendo inoltre cinque valli: Val Trebbia, Val Staffora, Val Curone, Val Grue e Val Borbera. La stessa configurazione prese poi la Diocesi di Dertona. Per alcuni periodi la Santa coppa fu custodita anche nel monastero di Bobbio, in Diocesi di Tortona, e in tempi più recenti nel feudo di Rosano. Relativamente a Bobbio notiamo che il Papa Silvestro II° era Abate di Bobbio, della Diocesi di Tortona e assunse lo stesso nome del Papa di Costantino, colui che aveva recuperato la Coppa! Chiaro segnale di strategia e legittimazione divina! Ancor oggi nel Museo romano di Bobbio è conservata un anfora che la tradizione ritiene una delle anfore utilizzate alle nozze di Cana. In merito al feudo-monastero-fortezza di Rosano (Rossiano-Roxano-Rubea) c’è da osservare che apparteneva all’Abbazia tortonese di San Marziano e possedeva tre Chiese nonché importanti reliquie come il corpo di San Vitale, e fu poi custodito dalla potente famiglia degli Spinola di Spagna. In Rosano si venerava San Michele e la Vergine e oggi ancora si può ammirare un affresco del 1400-1500 raffigurante una rara Madonna la quale, mentre allatta, mostra tre fiori porgendo un Gesù bambino ornato da una collana di corallo. Rosano presidiava anche il guado sul Curone. Durante il periodo carolingio e ottoniano Tortona fu spesso sede di soggiorno e di corte per gli Imperatori e i Papi, i quali si fermavano anche nel territorio tortonese in una località chiamata “Alpe plana”. (Ad esempio Papa Callisto II°.) I Vescovi di Tortona erano segretari-consiglieri-ambasciatori degli Imperatori e Principi del Regno Italico: eleggevano-confermavano i Re d’Italia in Milano o Pavia. Essi si dichiaravano soggetti alla Legge Longobardica. Il Tortonese era l’unica regione della Liguria che apparteneva anche alla Longobardìa. Prova ne è che spesso la Chiesa di Tortona più volte nascose e protesse gli Arcivescovi di Milano quando erano oppressi e combattuti dai barbari o dagli Imperatori. Spesso questi autorevoli e potenti Vescovi mediarono fra l’Imperatore e il Papa nella lotta delle investiture: pur restando fedeli al Pontefice conservavano margini di autonomia e di mediazione. Ancora nel 1500 il Vescovo Gambara scriveva a Carlo V° nel tentativo di riconciliare l’Imperatore con il Pontefice. Altra vicenda epocale fu il terribile assedio che il Barbarossa strinse per due mesi attorno a Tortona, riuscendo a prenderla solo per sete dopo aver avvelenato le sorgenti. Perché sprecare tante vite umane, tempo ed energia contro Tortona invece di scendere subito a Roma a rivendicare i diritti imperiali o indirizzarsi contro città ostili più potenti? Perché l'Imperatore pretendeva il possesso della Santa Coppa, desiderata per le sue virtù di propiziazione e di invincibilità. Il Barbarossa invece di accontentarsi di contemplarLa e di adorare il Sangue di Cristo in essa contenuta come avevano fatto gli altri Imperatori, ne rivendicava la proprietà, di qui lo scontro. Ecco una delle ragioni dello scontro fra autonomia comunale e autorità imperiale, fra giurisdizione della Chiesa e diritti dell'Impero: chi doveva custodire la più preziosa reliquia del Figlio di Dio? Tortona possedeva la soluzione di equilibrio: città dalle radici profondamente romane, contea carolingia, ma anche potente Diocesi fortemente cattolicizzata e governata dai vescovi-conte, territorio in perfetto equilibrio fra Liguria e Lombardia, fra Genova e Milano, città infine da sempre autonoma nel suo territorio e mai interessata da ambizioni espansive. L'unico scopo strategico di Tortona fu: conservare, custodire, perpetuare, consolidare un culto, un rito, una missione, quella di difendere la santa coppa di Cristo. Quando i Milanesi ricostruirono la fortezza di Tortona dopo la distruzione operata dal Barbarossa fecero tre doni all’amata Tortona consistenti in tre emblemi due dei quali erano la Croce rossa su campo bianco (che dai tempi di Costantino sventolava dagli spalti di Tortona) e il segno del Sole e della Luna. Ennesima conferma della gloria regale ed universale che circondava la Città e che solo la Coppa di Cristo giustificava. Alla Pace di Costanza Tortona figura fra le città dalla parte dell’Impero, nonostante le due distruzioni subite la tenacia di Tortona vinse e persino il Barbarossa dovette trovare un accordo dignitoso con Tortona e la volle alla fine con se! La durezza del Barbarossa non fu imitata da Federico II° che ricoprì di onori e privilegi Tortona, donandoLe fra l’altro il diritto di battere moneta, privilegi confermati dall’Imperatore Arrigo VII°. Da allora mai ebbe più incrinature o decurtazioni l’imperialità della Città di Tortona fino ad Umberto II° di Savoia, Protettore di Gerusalemme e ultimo conte di Tortona. Impressionante fu sempre l’elevato numero di Famiglie nobili rispetto la ridotta quantità di popolazione: già ben sessanta nel 1145! La Coppa dopotutto è sempre stata cantata quale fonte di nobiltà e di fecondità, quale culla di regali stirpi. Ecco ora altri indizi e conferme di tale presenza e funzione. Tortona possedeva una porta denominata "porta dei Leoni" e posta sul castello verso sud-ovest, simbolo di eccelsa regalità: il Leone difende la coppa dalla direzione simbolicamente più delicata. Come Cristo è nato ad est e come il Nord è dimensione favorevole per la Chiesa cattolica, così il nemico simbolico viene da sud ovest, e va protetta la via per la quale è giunta la Coppa, dal mare, dalla Liguria. Tortona restò sempre e fino ad oggi appartenente alla regione ligure, di origine celtica: è l'unica Diocesi della Liguria pur non avendo il mare! Lo stesso simbolo del Leone è simbolo che viene dalle legioni romane e tutte le maggiori famiglie nobili di Tortona possedevano tale simbolo. Ma è soprattutto simbolo di Cristo: il "Leone di Giuda", e conferma quella nobiltà mistica che derivava dalla Coppa e dal servizio ad Essa. Dopotutto non era il simbolo di Lancillotto? Non era Lancillotto nato nella città del Leone? ( tanto che alcuni pensavano si trattasse di "Lione" per assonanza ) Solo per nobiltà che discendeva la presenza della Coppa fu richiesta la presenza dei Tortonesi alle prime Crociate e lo stesso Imperatore Federico II°, nonché i Monferrato, volle imparentarsi con i nobili di Tortona. L'altro simbolo eccelso unito al Leone e unico nel suo genere e che rappresenta araldicamente Tortona, è la Rosa. Il calice è simbolicamente analogo al fiore e al cuore. Come il Leone è il più nobile degli animali così per l'Occidente cristiano la Rosa è il più regale dei fiori. L'unione dei due, con il Leone che mostra e impugna la rosa volgendosi verso sinistra (in senso antiorario), dimostra una nobiltà spirituale indicibile e inaudita per una piccola città, e lancia un messaggio cifrato: in Tortona Cristo possiede la Sua coppa santa, l'unità è restaurata, è presente il vasello che custodisce il Sangue vivo ed inconsumabile di Cristo, l'anima è colma dello Spirito del Suo Re. Pensiamo ora ai colori: Leone argentato su fondo vermiglio, i due colori dell'Amore mistico del Cantico delle creature, i colori del potere, e soprattutto lo stesso simbolo dello scudo di Parsifall! Ancor oggi sopravvivono ulteriori conferme sapienziali di questa tesi: la città è circondata non più da sette colli ( spianati per ragioni militari-economiche e consunti dai secoli) ma sempre da sette frazioni ( Passalacqua, Torre Garofoli, Monbisaggio, Castellar Ponzano, Vho, Rivalta, Bettole), come le stelle dell'Orsa sono vicine alla Stella polare e come le sette stelle del candelabro di Cristo nell'Apocalisse; oltre a ciò in città da più di due secoli si stampa "l'almanacco del Gran Pescatore di Chiaravalle", segno evidente dell'unicità ed importanza spirituale della città. Non è il Re pescatore il custode della Coppa? Non è Cristo stesso Pescatore di uomini? La Coppa non ispirava la profezia e governava la fecondità della terra? Altri segni curiosi: vicino a Bettole di Rivalta passa una strada chiamata “Strada dell’Imperatore”, e una simile denominazione è presente vicino a Dernice; in Torre Garofoli passa la “strada Cerca” sullo stesso tragitto della via Romea e compostelliana; San Giovanni Bosco dal Castello di Tortona benedisse la città, l'Italia e il mondo intero con l'auspicio che l'Italia tornasse cuore della luce cristiana sul mondo intero, non è un augurio-preghiera che si comprende meglio se si pensa alla presenza alla Coppa-Cuore di Cristo in Tortona? Altro segno: Tortona conserva una reliquia della Santa Croce e possedeva una presenza dei cavalieri Templari presso l'ostello-chiesa-porta di San Giacomo. (una delle poche loro presenze in Piemonte) Non era compito dei Templari secondo la loro regola custodire la Santa Croce? Non era sul castello la Cattedrale prima del 1500? Solo la Croce santa era da loro custodita? Ma non ci sono reliquie della Croce santa in ogni Chiesa cattolica? Troppe concordanze, troppi indizi che alludono alla presenza di una realtà sacra e riservata in Tortona. Ultimi segni: ancora lo stemma araldico. Vediamo una corona di alloro e di quercia, segno della perfetta intesa fra celti e romani. Roma tenne lo stesso nome celtico della città invece di imporne uno nuovo, segno che dopo la guerra di conquista era avvenuta una piena saldatura fra il passato celtico e il futuro romano. L'alloro e la quercia sono inoltre simbolo di massima gloria e di forza. Oltre a ciò è formidabile e illuminante il motto araldico: "Pro tribus donis Terdona similis Leonis". Cioè: Tortona è simile a Cristo perché ne custodisce la Santa Coppa, Tempio e ricettacolo della Santissima Trinità, e come i Re Magi la ripresenta a Cristo. Ecco la spiegazione dell'incredibile numero di Chiese, Conventi, Abbazie, Monasteri e Ostelli per pellegrini che si trovavano a Terdona nel medioevo: era un piccola Roma, una piccola Gerusalemme; la presenza della sacra Coppa ispirava un costruttivo misticismo e il gran numero di luoghi sacri era pure utile a dissimulare il luogo in cui era nascosta la Coppa. Non è altrimenti spiegabile la presenza di un tale numero di ospedali e di ostelli per i pellegrini: in Chiese, Case, Mansioni, e in luoghi che oggi sono Tenute e Cascine e un tempo erano domus di notabili romani.Ma quali sono veramente i tre doni? Oro incenso e mirra nei loro significati spirituali? La risposta essoterica è facile: forza-coraggio, lealtà e gentilezza. Ma questa risposta riguarda solo il senso morale della frase; e il senso anagogico? Forse Spirito, acqua e sangue? Chi cerca trova e non sarà deluso perchè Fedele è il Tesoro.Non basta la giustificazione che Terdona era situata all’incrocio delle tre vie sante principali: Via francigena, Via Romea, e Via compostelliana; in realtà è vero anche il contrario: il misticismo che emanava da Terdona e alcune fughe di notizie richiamarono e attrassero turbe di pellegrini per i quali Terdona non era solo una tappa importante nel pellegrinaggio, ma anche una meta stessa di pellegrinaggio. Oltre a ciò all’epoca del medioevo il Castello di Tortona doveva apparire estremamente elevato per l’altezza del Colle, i terrapieni e le mura, abbellito da una Torre romana chiamata “Rubea”, cioè Rossa, ( anche detta “Tarquinia”) e da una Torre Bianca, e circondato dalle acque, in quanto era circondato dal fiume Scrivia (all’epoca ricco di acque tanto che solo esperti traghettatori erano in grado di passarlo e non esistevano ponti), e dai torrenti Ossona, e Grue. Era quindi difeso e abbellito per tre lati dall’acqua, nonchè circondato da colline, sentieri, rogge e rocce, oltre ad essere collegato per mezzo di gallerie e cunicoli sotterranei all’Abbazia cistercense di Rivalta ( Ripa-alta) e alle Chiese del Borgo sottostante: un paesaggio variegato e fascinoso molto simile a quello del Castello del Re Pescatore, al Castello del Graal e ai luoghi limitrofi come sono descritti nei romanzi cavallereschi del 1200-1300! L’altezza del Castello e la sua posizione permetteva di metterlo in comunicazione visiva con un territorio molto vasto e significativo: Novi Ligure da un lato, Voghera dall’altro, e verso Genova o la Lunigiana la via dei messaggi era facilmente tracciata in triplice tragitto attraverso una rete fitta di segnalazioni ignee fra forti e Castelli: a) Pozzolo-Novi-Serravalle-Arquata-Castello della Pietra,ecc.; b) Vho- Sarezzano- Avolasca- Garbagna -Montebore- Sorli -Cantalupo - Brusamonica c) Volpedo-Monleale-PozzolGroppo- Montemarzino- Brignano- SanSebastiano -Gremiasco-Fabbrica Curone - Varzi- Oramala, ecc. Tutti luoghi di origine militare celtica, rifondati da romani, longobardi e franchi per la difesa dai saraceni e dai bizantini, luoghi in cui passava la “strada del sale”. Nel primo medioevo tutta la regione ligure dell’entroterra era chiamata “Patrimonio delle Alpi Cozzie” e apparteneva alla Santa Sede, uno dei primi feudi della Chiesa di Roma. Fu usurpato dai Longobardi e poi restituito al Pontefice dal Re Ariperto. Da qui la dignità di Principi dei Vescovi di Tortona, e il loro fregiarsi, nel blasone vescovile, di una Spada accanto al Pastorale. Solo la presenza della Coppa di Cristo poteva conferire tale dignità nonché un’unione così stretta e manifesta del potere spirituale con il potere temporale. Fino a quando restò tale tesoro nella città di Tortona? Il fatto che il Maresciallo imperiale Suwaroff il 13 maggio 1799 emanò da Tortona il suo mistico proclama al popolo piemontese è segno che ancora fosse conservata nel Castello la reliquia? Era un incitamento a difenderla? Oppure era una preparazione del suo ritorno nel luogo che per tanto tempo l’aveva accolta? E' per questo motivo che Napoleone, furioso per non avere trovato ancora la Coppa, distrusse fin dalle fondamenta, e con lento metodo, il grande, ma da tempo militarmente inutile, Castello di Tortona? Ci sono ancora molte vie in Tortona verso il mistero: i sotterranei del Castello, le cripte delle Chiese più antiche, i documenti sulla storia della Città, l'iscrizione in latino nella corte di Rosano ( chi la legge intuirà la gloria della Rosa), e il misterioso mausoleo dell'Imperatore Majorano sito nella Chiesa di San Matteo ( un cubo ermeticamente chiuso di 9 metri per 9) et cetera... Cosa custodisce il Mausoleo da millenni?Altri indizi della tesi interpretativa qui sostenuta sono nascosti nei significati dei nomi. Arth-ur: significa in celtico: Orso, e indica la costellazione dell'Orsa maggiore, e oltre a ciò contiene la radice in sanscrito "UR", identica in greco e latino, significante: "fuoco" (pyr-purificazione, iride, urano, uro, ira, curia, ecc.), inteso come segno di potenza, ardore, audacia, zelo e sacro impeto. Ebbene abbiamo accennato a come Tortona e le sue sette frazioni (che erano un tempo forti o domus romane fortificate) rappresentino la predetta costellazione, con la stella polare che coincide con la Città del Leone della Rosa. La stessa radice sanscrita-greca-latina si ritrova nel nome "Cur-one", valle e fiume prossimo a Tortona, nel nome "Iria" cioè l'attuale fiume Scrivia che con i suoi flutti impetuosi difendeva la Città, e nel nome "Lig-ur-ia", ove "Lig" deriva dalla divinità celtica Lug, guerriero celeste munito di fulmine e lancia (simile simbolicamente a San Michele). Anticamente Derton possedeva anche un secondo nome: Antilia o "Antiria", cioè davanti all'Iria (cioè davanti al fiume ma anche: davanti al Fuoco) Tutto ciò conferma l'importanza sacrale di Tortona e la diffusione del culto del Fuoco, di Vesta e di Giove (sulla sommità del Colle Savo s'alzava il Tempio di Giove capitolino) La tradizione guerriera dei Liguri si perpetuò ed accrebbe sotto le insegne di Roma! "Parsifall" significa: valle dei Persiani o Valle dei giardini, cioè la Val Curone, in cui risiedevano comunità di Armeni e di ebrei, ed era famosa per la sua vegetazione lussureggiante. "Parsifall" ricorda il rapporto della sacra Coppa con i Re Magi e l'Oriente.Queste considerazioni non implicano un voler screditare la nordicità del ciclo bretone, ma dimostrano che non esistono contestualizzazioni esclusive per gesta cavalleresche che possono aver tratto ispirazioni da più regioni e da più epoche. “Ginevra” era in realtà Genova stessa, “Monserrat” era Monte Spineto, ( detto anche Monte Arimanno) luogo sacro e rifugio dalle invasioni barbariche, luogo che serra la valle dello Scrivia (Iria) presso l’attuale Serravalle. A tale proposito ricordiamo che i potenti Marchesi di Monferrato, audaci sostenitori della Crociata e imparentati con gli Imperatori, mai vollero conquistare Tortona ma anzi si imparentarono con le sue famiglie più nobili. E’ evidente la profonda simbologia della parola: “Mons-ferrat”. Approfittiamo dell’occasione anche per ricordare che molti toponimi del tortonese contengono la parola “spina”, e ciò significava una funzione di difesa e di relazione in rapporto alla sacra Coppa di Cristo. La Spina difende la Rosa, cioè il Calice sacro! Oltre al precedente un altro esempio: Spineto Scrivia, nella contea/principato del Vescovato! Dopotutto una delle più potenti e nobili famiglie del Tortonese erano i “Malaspina”, decantati da Dante Alighieri e di cui il Poeta fu ospite nel Castello di Oramala, e gli Spinola. “Lionello” era Villa del Foro e Libarna. “Lionello” significava: il piccolo Leone, i piccoli del Leone, cioè le due filiazioni della Colonia Dertona. “Galvano” era Galgano, cioè chi, imitando il santo cavaliere, andava in mistico pellegrinaggio verso San Michele ( di Susa o del Gargano). La linea di San Michele partiva da San Michele in Normandia e arrivava a Gerusalemme passando per Tortona e il Gargano. “Lancillotto” era connesso con Asti = “Hasta” = Lancia. La Lancia non è lontana dalla Coppa e la Coppa non è lontana dalla Lancia. Non era la Coppa il simbolo di Lancillotto, per la Quale aveva lasciato tutto vivendo in una perpetua cerca? Non era Asti il luogo famoso in tutta l’antichità per la confezione di calici e coppe? Presso Frugarolo, in territorio dertonese, nel 1300 venne affrescata la stanza di una piccola residenza nobiliare con il ciclo di Lancillotto, dipinto mentre combatte contro i sassoni. Questo è che la sopravvivenza epica della memoria delle gesta dei cavalieri tortonesi romano-cristiani sotto Aureliano e sotto Maiorano contro i marcomanni. “Sarras” era Sarezzano: luogo vicinissimo a Terdona in cui si elevava una rocca celtica antichissima. I famosi boschi di Parsifall e scenario di tante avventure, ricchi di selvaggina e di cavalieri che vagavano, non erano altro che i boschi della Fraschetta (ormai aimè non più esistenti!) luogo prediletto dai Goti, dai Longobardi e dai Franchi per l’arte della caccia. La Tavola era la rocca stessa: tutto il forte e la stesso borgo si sviluppa in un perfetto cerchio attorno alla roccia del Colle Savo!Se a questo si aggiunge che sul Forte era venerata una Madonna Nera il cui ritratto è ancora conservato nella cattedrale di Tortona e i cui occhi trasmettono una terribile dolcezza, e se consideriamo che la posizione astrologica di Tortona è favorevolissima, contemplando ad esempio un dominio di Saturno nel mese di dicembre (Saturno è il protettore e dispensatore delle ricchezze occulte, nume dell’essere e della sapienza), e se ricordiamo che Tortona era ricchissima di acqua e attraversata da numerose sorgenti, canali, rogge e chiuse, il quadro sapienziale è completo e rarissimo! Lo stretto legame sussistente fra Tortona e i santi monaci irlandesi che vi giunsero ( per poi portarsi a Celle di Varzi e a Bobbio) rappresenta un ulteriore conferma della credibilità della tesi sostenuta della vicinanza del Graal a Tortona.Non solo il grande San Colombano ma molti altri monaci irlandesi, scoti, britannici e bretoni giunsero nell' ager di San Marziano per salvare tesori spirituali e anime e regni. Sugli appennini liguri vivevano ancora comunità celtiche isolate di cui nessuno più capiva il liguaggio tranne i monaci itineranti irlandesi.Come fu per il Regno sacro e spirituale dei Re dei britanni fino ad Arturus così fu per il Marchesato/contea di Tortona: un Regnum invisibile riconosciuto solo da e fra i nobili, i cavalieri e i monaci che ne condividevano la segreta esistenza: un vassallaggio parallelo ed autonomo, in quanto interiore e spirituale, rispetto a quello tipicamente feudale. Dopotutto Tortona sfugge ad ogni chiara e canonica classificazione feudale e dinastica, essendo un equilibrio perfetto fra Impero e Papato: i Vescovi di Tortona erano conti e principi, ma la corona della Città è del Marchesato, il territorio era lombardo e imperiale, ma nello stesso tempo apparteneva al Patrimonio di Pietro, i nobili maggiori di Tortona erano imparentati con l'Imperatore ma pure reggevano un Comune molto autonomo e mai eretico!E se Merlino e San Patrizio fossero la stesa persona? Questa idea rafforza e chiarifica ulteriormente la vocazione spirituale di Tortona. Dopotutto molte sono le concordanze fra le loro figure e storie: entrambi nascono britanni, anzi romano-britanni, entrambi viaggiano molto e vivono a lungo, entrambi sono figure di profeti-sacerdoti ed esorcisti, entrambi sono di nobile stirpe e consiglieri di re, entrambi vivono molti anni in Gallia ( San Patrizio dal 415 al 432) per poi ritornare in Britannia, entrambi erano fra gli ultimi a conoscere molto bene la cultura celtica e in particolare i riti dei Druidi. C'è da considerare infine che il periodo storico coincide perfettamente: dalla partenza delle legioni romane nel 410 al predominio dei sassoni in Inghilterra. San Patrizio aveva 19 anni nel 410 e 59 anni nel 450; data fatidica: l'unica data certa del ciclo epico, l'anno in cui Galaad, il Cavaliere vergine perfetto, si siede sul seggio periglioso portando a compimento le profezie ed iniziando le ultime imprese della cavalleria spirituale, che porranno fine ai tempi avventurosi, in cui Cristo aveva chiamato eroi e e cavalieri a lottare contro le ultime forze infere che ancora vagavano per la terra e tentavono invano di resistere al nuovo Regno di Cristo. Pochi anni dopo il 450 inizò il crepuscolo del Regno britannico e Arturus, ferito ma non vinto nè morto, come i Re pescatori, si occultò nell'invisibile da dove aspetta, con Federico II° e Merlino, il tempo previsto per risvegliarsi, novelli Elìa, al combattimento finale contro le forse del male. Se Merlino è San Patrizio allora non solo dal sud ma anche dal nord la Coppa segnò la via passando per Tortona. Si vuol sostenere che i nomi dell’epica cavalleresca medioevale non risultano tanto nomi specifici di persone, quanto soprannomi di battaglia, quali nomi-segni ideali, quali tipologie interiori, quali maschere simboliche che più persone e più generazioni hanno indossato e incarnato, in connessione con determinati luoghi spirituali e azioni rituali! Questa tesi non vuole giungere alla conclusione che non siano esistiti personaggi storici cavallereschi e militari nel primo medioevo che abbiano ispirato tradizioni eroiche (Artù-Lancillotto-Parsifall-Galvano), e neppure vuol sostenere che non siano accadute in Britannia, Bretagna, Provenza, Svizzera, Spagna e Persia, gesta cavalleresche poi idealizzate caratterizzate dalla fusione fra le ultime sopravvivenze di un mondo romano cavalleresco e militare con un Cristianesimo fresco e mistico-eroico; ma semplicemente si vuol sostenere che anche il territorio Tortonese si inscrive a pieno titolo in questo panorama simbolico, in questa geografia sacrale che tanta ispirazione diede all’epos e alla religiosità occidentale. Una storia ancora viva: chi si rechi in prossimità della Torre–mansione del ponte di Cassano sullo Scrivia ancora sente palpitare una forte sacralità del luogo.Una storia ancora vicina: pochi anni dopo la seconda guerra mondiale ad Angela Volpini, allora bambina, in Casanova Staffora (PV), in Diocesi di Tortona, apparve la Santa Coppa di Cristo.

http://digilander.libero.it/vicit.leo/index.htm

La Morte di Federico II e la Maledizione degli Hohenstaufen

Il pensiero della morte non pare di quelli che frequentassero la mente di Federico di Svevia. Eppure quest'uomo, che per tutta la vita si comportò come se non dovesse morire mai, si era preparata la tomba da qualche tempo: un sarcofago di porfido rosso fatto venire a Palermo da Cefalù dove l'aveva trovato vuoto, con le tombe che il nonno Ruggero II aveva dato a sé e ai suoi, quando vi aveva eretto quel duomo, in scioglimento d'un voto. Una specie di timpano triangolare sormonta la base a semicerchio poggiata su quattro leoni. Strani simboli pagani decorano quell'arca imponente. La salma vi fu deposta dopo una sosta a Messina. Al saio dei cistercensi che primo la ricopri, furono sostituiti gli ornamenti imperiali. Sul camice di lino dal collare e i polsini adorni d'iscrizioni in caratteri cufici, una funicella di seta scarlatta ricoperta dal manto ricamato di perle e chiuso da un gioiello prezioso. Anche le scarpe, di seta rossa; alla mano destra l'anello d'oro con un grosso smeraldo; a lato, il cinturone in oro e argento che sostiene la spada decorata. Sul capo una corona sobria, simile a cuffia, di bronzo e d'oro; deposto vicino alla testa il globo imperiale d'oro, adorno d'un cerchio di piccoli smeraldi e di una perla enorme. La tomba fu aperta nel 1781. Il volto era ben conservato "come quello d'un santo" osservò uno dei presenti. Si prese nota del contenuto, si fecero rilievi e disegni. Ancora nel 1962 fu compiuta un'altra ricognizione. La leggenda che diceva Federico sprofondato col cavallo nell'Etna era dimenticata. La morte tolse a Federico di Svevia la possibilità di vincere. Ma il trionfo dei suoi nemici non durò a lungo. "L'idea dell'indipendenza dello Stato dalla Chiesa - scrive Benedetto Croce - fu ripresa da altri sovrani di Europa e dagli stessi comuni, non più nella forma dell'invecchiato Impero, né dell'assolutismo cesareo-bizantino-islamitico, ma dei nuovi stati nazionali, i quali, volessero o non volessero i pontefici, si ricordarono sempre di Federico svevo, e, con Dante, lo dannarono e lo ammirarono, e, per conto loro lo imitarono." Quello da lui portato al fastigio fu il primo stato opera d'arte, com'ebbe a dire il Burckhardt. Di Federico - ricorda ancora il Croce - "sono state sempre e giustamente celebrate la legislazione ricondotta ad altezza romana e a sistema, l'amministrazione e la giurisdizione commesse a ufficiali regi,... il favore alla cultura e all'intelligenza, la costante tendenza razionalistica opposta al superstizioso e barbarico e passionale procedere che ancora perdurava in altre parti d'Europa". L'Italia perse con lui, per secoli, la speranza dell'unità. Il nascere attorno a lui di leggende che soltanto in seguito furono riferite al nonno Barbarossa mostra quale alta luce promanasse al mondo dal fascino della sua idea imperiale. "Distruggere sino agli ultimi discendenti questa razza di vipere che mai più cingeranno corone imperiali e reali" era stato il giuramento di papa Innocenzo IV, nel condannare, con Federico, i suoi figli e nipoti. E la tremenda condanna doveva compiersi nel giro di pochi anni dalla morte dell'imperatore. Abbandonata la lotta in Germania, Corrado IV scendeva in Italia a riconquistarvi la Puglia e Napoli. La morte lo colse a Lavello il 10 ottobre 1253; lasciava un figlio di due anni, Corradino. Enrico, il giovane figlio che Federico aveva avuto da Isabella, la sposa inglese, era morto anche lui, un anno dopo suo padre. A tener alta la bandiera degli imperiali rimaneva il solo Manfredi. Sedici anni riuscì a contrastare le forze del Papa, padrone del regno e di parte dell'Italia settentrionale finché anche lui dovette soccombere. Andò incontro alla morte il 26 febbraio 1266 sul campo di battaglia di Benevento, nell'estrema lotta contro Carlo d'Angiò, tanto diverso dal suo santo fratello, il re Luigi IX di Francia. L'aveva chiamato, dandogli in feudo il regno di Sicilia, il francese Gui Faucoi, Clemente IV, eletto alla cattedra di Pietro nel febbraio 1265. Era il terzo pontefice romano dopo che Innocenzo era morto, nel 1254, ma la maledizione contro gli Hohenstaufen non si spegneva. Né miglior sorte toccava più tardi al figlio di Corrado. A quindici anni era sceso dalla Germania a reclamare l'eredità del grande nonno, di cui la leggenda diceva che non era morto, ma dormiva il lungo sonno, in attesa di risorgere a restaurare la gloria dell'Impero. Caduto prigioniero a Tagliacozzo il 21 agosto 1268, Corradino era fatto decapitare da Carlo d'Angiò sulla piazza del mercato di Napoli, il 29 ottobre dello stesso anno. Aveva sedici anni. Testimone lontano di quei tragici eventi era l'unico figlio superstite di Federico, Enzo, nella sua dorata prigionia di Bologna. Le sue poesie s'erano fatte d'anno in anno più tristi: “Và, canzonetta mia... Salutami Toscana quella ched è sovrana in cüi regna tutta cortesia: e vanne in Puglia piana, la magna Capitana, là dov'è lo mio core nott'e dia”. Alla sua morte, nel 1272, i bolognesi lo onorarono come un re. Il sogno di Federico era ormai un ricordo lontano. Con lui era scesa nella tomba quella forza che sola avrebbe potuto unire l'Italia e, insieme, era morto, come sistema effettivo di governo, il Sacro Romano Impero.

www.tanogabo.it/letture/Federico_II_morte.

 

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